Anne Brisker la protagonista del romanzo d’esordio Talento di Juliet Lapidos, edito in Italia da Bompiani (pp. 233, euro 17, traduzione di Giovanna Scocchera) è una dottoranda: in una prestigiosa università statunitense sta cercando di concludere la sua tesi dedicata al tema dell’ispirazione artistica, ma non ce la fa. La frustrazione dello studio, specialmente dell’esperienza del dottorato, è un tema di cui di rado si legge in Italia, mentre Lapidos lo mette al cuore del suo primo romanzo.
Secondo il suo direttore di tesi, il professor Davidoff, Anne era una studentessa modello fino a che si è trattato di utilizzare le proprie doti per immaginare interpretazioni e collegamenti fra vari testi di letteratura inglese, mentre non ha più saputo amministrare i propri talenti quando è giunto il momento di confrontarsi con un lavoro di ricerca impegnativo e difficile, come la tesi di dottorato: a mancarle sarebbe stata la disciplina, cioè la forza di mettersi alla propria scrivania e lavorare. È curioso che proprio il mero lavoro sia ciò che Anne considera il vero segreto dell’ispirazione artistica.

NELLA SUA RICERCA che non riesce a concludere sostiene infatti che la millenaria mitologia che descrive l’ispirazione come una forma di possessione dell’autore, che verrebbe pervaso da forze superiori per comporre la propria opera, è infondata. Le sue convinzioni, però, non bastano e Anne ha solo una chance per non vanificare gli ultimi sette anni della sua vita, dedicati a un lavoro di ricerca che non lascerà traccia se non una volta concluso: deve trovare l’esempio di un autore che dimostri che ciò che lei crede è vero.

Freddy Langley fa al caso suo: è uno scrittore molto famoso negli Stati Uniti, che Anne leggeva da ragazzina, ma che poi ha deciso di abbandonare quando è diventata una promessa della critica letteraria e Langley un autore troppo popolare. Il caso vuole che Anne incontri la nipote e scopra come lo scrittore a un certo punto della carriera, dopo il suo maggiore successo, secondo i critici abbia perso l’ispirazione, tanto da non riuscire a scrivere più neanche una riga, fino alla morte avvenuta in un incidente stradale. Attraverso un’indagine che coinvolge la nipote Helen e che porta Anne a scoprire la storia personale del suo autore, la giovane studiosa arriva alla conclusione che come lei ha creduto fin dall’inizio, anche nel caso di Langley le Muse non c’entrano un bel niente.

NELL’INTERPRETAZIONE che Anne dà del blocco dello scrittore di Langley, l’autore avrebbe smesso nel momento in cui la scrittura era diventata agli occhi di suo padre un buon modo di fare carriera. Seguendo la ferrea volontà di non accondiscendere mai alla concezione per cui l’esistenza ha un senso solo nel momento in cui la si vota all’ambizione, Langley parte per l’Europa e una volta finito il denaro si trasferisce nella mansarda del fratello a poltrire fino alla fine dei suoi giorni.
Dimostrare questa ipotesi comporta per Anne, però, di contravvenire alla volontà di Langley di non essere più pubblicato: per concludere la sua tesi dovrebbe infatti citare i taccuini inediti dello scrittore, rinnovando la sua fama e cimentandosi nella rincorsa al successo che non solo Langley, ma anche Anne detesta.
Una riflessione sulla critica letteraria, in cui l’autrice cerca di risuscitare la volontà dell’Autore, decretato morto nel 1968 da Roland Barthes e nel 1969 da Michel Foucault, un testo sulla ferocia della ricerca accademica e della società statunitense, in cui l’ossessione per la career non lascia scampo. Talento è anche un romanzo che si interroga su quanta felicità possa derivare da un adeguato investimento delle proprie qualità, specie per quelli che non sono affatto buoni amministratori di loro stessi.