Annamaria Percavassi, passioni dell’est Europa
Cinema Addio alla creatrice del Trieste Film Festival, il più importante testimone in diretta del crollo della Jugoslavia e dello sformarsi dell'impero sovietico
Cinema Addio alla creatrice del Trieste Film Festival, il più importante testimone in diretta del crollo della Jugoslavia e dello sformarsi dell'impero sovietico
Annamaria Percavassi, non solo creatrice e direttrice di Alpe Adria Cinema (ora Trieste Film Festival) ma al centro di gran parte delle attività di cinema a Trieste per molti decenni, non è più tra noi. Era di origini istriane, lontana parente di Laura Antonaz (Antonelli). Anche nei momenti in cui eravamo in disaccordo ho sempre percepito soprattutto la sua grande energia, che si trasmetteva all’interlocutore al di là dei contrasti. E non è riconoscimento di routine e post mortem dire che la sua era prima di tutto una presenza umana.
Non dimenticherò mai, in uno dei nostri ultimi casuali incontri, incrociatici in strada per raggiungere i rispettivi uffici alla Casa del cinema, che durante la nostra conversazione lei notò il passaggio dell’amatissima nipote Luna che giocava col monopattino, e tutta la sua attenzione si concentrò su di lei, e percepire questo suo slancio me la fece amare: come fu ammirabile quello per le sue «creature», sia il figlio e la figlia, che le diverse iniziative che aveva creato: prima, con l’amatissimo fratello Piero, La Cappella Underground, poi Alpe Adria Cinema, festival che seppe mettere per la prima volta al centro dell’attenzione cinematografica europea i territori centroesteuropei e balcanici verso i quali l’Europa non aveva mai superato la sindrome della prima guerra mondiale, considerandoli la periferia delle colonie. Si può dire che il festival di Annamaria è stato il più importante testimone in diretta del crollo della Jugoslavia e dello sformarsi dell’impero sovietico.
L’energia di Annamaria si percepì già tutta quando all’inizio degli anni ’70 ricreammo insieme il Cuc, in collegamento con l’attività di insegnamento di Lino Miccichè, e successivamente di Tino Ranieri e Alberto Farassino. Fummo i due primi laureati di storia del cinema a Trieste, in un momento fertile di presenze che restarono tra i legami di una vita (da Piera Patat a Giuseppe Lippi a Fulvio Toffoli). Ci perdemmo poi per strada, io a Roma a Fuori orario mentre lei metteva in piedi il primo vero festival triestino e tra i primi regionali (quello di Fantascienza, per quanto importante, era stato una propaggine istituzionale più che una cosa che nascesse da appassionati locali).
uando tornai da Roma, Annamaria mi offrì la curatela di alcune retrospettive dentro il festival che credo rimangano importanti, e in fondo il successivo disaccordo fu altrettanto produttivo per entrambe le parti. Con «I mille occhi», dopo i primi battibecchi all’insegna del «vediamo chi è più bravo a fare lo stronzo», si creò nel tempo la miglior sinergia, quella del rispetto dell’originalità reciproca. Non sono mancati in tutti questi anni i fornitori di polpette avvelenate che volevano convincerci che Trieste aveva bisogno di un solo grande festival, che però avrebbe liquidato sia il nucleo centrale a misura umana del Trieste Film Festival che la specializzazione di genere di ScienceplusFiction che il lavoro sul mainstream di Maremetraggio che la ricerca d’avanguardia dei Mille occhi.
Ma con Annamaria non si è data corda a questi progetti omologanti, e oggi credo le dobbiamo l’omaggio di difendere la molteplicità delle cose nate sul territorio malgrado l’assenza di iniziativa pubblica. Perché nel Friuli Venezia Giulia le cose importanti per il cinema (la Cineteca del Friuli, le Giornate del cinema muto, il Far East, il Premio Amidei, la Film Commission…) non sono mai nate da un’idea di «format». Questa regione ha finora avuto la decenza di non imporre percorsi artificiali ma di offrirsi come strumento di chi le cose le faceva davvero e al suo posto.
Nulla irriterebbe Annamaria quanto sapere che la sua morte possa essere vista come il simbolo della fine di un’epoca, anziché come un malaugurato intoppo nel perseverare. Ricordo che Annamaria, che poteva apparire così diplomatica, non si preoccupava di dire quello che pensava. Ci divertì molto quando in un’intervista disse di un precedente assessore alla cultura che era un bravo sportivo ma inadatto al suo ruolo; e bisogna riconoscere che costui, seppur infastidito, non tramò vendette. Brava, Annamaria!.
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