L’impero Mogol fu il dominio di un’élite di origine turca che, nella sua massima estensione territoriale, governò la maggior parte dell’Asia meridionale, compresi India, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh e parti dell’Uzbekistan, dall’inizio del XVI al XVIII secolo. La dinastia fu fondata da un principe turco Chagatai di nome Babur (1526-30), che discendeva dal conquistatore turco Timur (per noi Tamerlano) da parte di padre e da Chagatai, secondo figlio di Gengis Khan, da parte di madre. Si trattava dunque di una delle ultime ondate di conquista generate negli immensi spazi dell’Asia centrale, delle quali erano state protagoniste popolazioni nomadi la cui denominazione etnica (turchi, mongoli) era in realtà il frutto di intrecci diversi andati avanti per secoli.

I MOGOL TENTARONO di integrare indù e musulmani in uno stato indiano unito, quello dei grandi sultani Akbar e Shah Jahan e delle loro ricchissime corti con le quali entrarono in contatto i primi viaggiatori europei (italiani, francesi, inglesi, portoghesi, olandesi). Ne parla una specialista del settore, Anna Unali, nel suo Viaggio nell’India del Gran Mogol. Agli esordi della colonizzazione europea (secc. XVI-XVII) (L’Harmattan Italia, pp. 262, euro 34), preceduto da una bella prefazione di Francesco Surdich. Sulla copertina e nell’Introduzione di Unali leggiamo le parole del viaggiatore-mercante fiorentino Filippo Sassetta: «Andare là a vedere, toccare e scrivere». Sassetti (morto a Goa nel 1588) non era solo un mercante, ma anche un osservatore attento e un uomo di grande cultura. È noto per i suoi viaggi in India e per le sue testimonianze sulle culture e le lingue locali, che documentò nelle sue lettere, nonché per essere stato uno dei primi europei a riconoscere le somiglianze tra il sanscrito e il greco, appartenenti al medesimo gruppo indoeuropeo; intuizioni che sarebbero poi state sviluppate solo a partire dall’800.

LE CAPACITÀ DI OSSERVAZIONE dei viaggiatori di allora consentono di tracciare un quadro affascinante del Gran Mogol. Fu quella un’epoca di ripresa delle esplorazioni asiatiche dopo la chiusura della Cina con la fine della dinastia mongola degli Yuan, e poi con la scoperta dell’America, che aveva dirottato parte dell’interesse sulle rotte atlantiche. Tuttavia, l’Eldorado restava l’Asia, e in particolare Cina, sud-est e India con le loro immense ricchezze. Se la prima parte del libro è dedicata all’incontro e al fascino che il Gran Mogol esercitava sui viaggiatori occidentali, la seconda si concentra sull’avvio dello sfruttamento da parte delle compagnie europee, ossia sugli albori della colonizzazione, un periodo più studiato. Quest’epoca di mezzo, sospesa nello stupore di ciò che si scopre, più memore dello sguardo di un Marco Polo che non di quelli rapaci dei predatori, merita in effetti la riscoperta che Anna Unali ci offre.