La vicenda che in questi giorni chiama in causa Anna Frank ha più risvolti.

Da una parte mira a banalizzare e a infrangere un simbolo, quello che al di là di ogni lettura critica, è diventato l’emblema della Shoah; dall’altra, impone una riflessione approfondita sulle radici di una incultura che consente di sfidare impunemente la sacralità di una memoria che sintetizza un mondo di valori che pensavamo fosse ormai diventato patrimonio dell’intera società.

E invece non è così.

A ottant’anni dalle leggi razziali del 1938 dobbiamo constatare non solo che così non è, ma che nella guerra della memoria l’oblio tende a collocarsi dalla parte vincente.

Brandire nello scontro tra tifoserie l’immagine di Anna Frank non è soltanto un oltraggio che immiserisce in molti significati che sono racchiusi in ciò di cui essa è simbolo, è la rivelazione della distanza che separa fasce più o meno larghe della popolazione dal senso del pudore che attutisce l’abisso dell’ignoranza e stravolge il senso del sacrificio di cui Anna è stata vittima.

Sul piano generale, l’episodio richiama l’inciviltà che governa quella parte del mondo dello sport che al di là della competizione si nutre di prepotenza e di razzismo. Non è da oggi che è stato segnalato il razzismo nelle tifoserie per ragioni non sempre comprensibili, ma sicuramente per la visibilità che si offre a platee immense.

In questo senso la responsabilità delle società sportive è enorme, ma enorme è anche la responsabilità del mondo politico che ha sempre teso a minimizzare il sottofondo politico di certe manifestazioni.

Non è un caso che sia nel mondo della destra, estrema o meno, che si diffondano comportamenti e atteggiamenti che sfociano nel razzismo, in un momento in cui le pulsioni razziste sono alimentate da paure, reali o stimolate ad arte, che traggono forza dai ben noti processi migratori che forniscono il pretesto per ogni sorta di eccesso provocatorio o difensivo che dir si voglia.

Di fronte al caso di Anna Frank esprimere indignazione non basta.

L’analisi deve andare oltre perché la tolleranza di fronte a tanti episodi di violenza e sopraffazione ha abituato all’assuefazione, ad allargare la soglia della sopportazione di fronte ad un fenomeno che si continua a sottovalutare e a minimizzare.

Bisogna rendersi consapevoli che siamo di fronte ad una forma di fascismo strisciante, di fascismo quotidiano, nulla di clamoroso, nulla che faccia scalpore, ma qui con Anna Frank ha passato il segno.

Questo paese ha riabilitato il riabilitabile: vogliamo riabilitare anche l’antisemitismo?