Per l’Europa potrebbe essere più difficile del previsto arrivare a un accordo sui profughi con Ankara. Ieri il ministro turco per i rapporti con l’Ue, Volkan Bozkir, ha messo all’intera operazione una serie di paletti che difficilmente piaceranno ai leader dei 28. Come prima cosa ha chiarito che la Turchia intende riprendere «decine di migliaia» di profughi nel proprio territorio e «non milioni». Inoltre i siriani che si trovano sulle isole greche non fanno parte del pacchetto e agli europei non sarà permesso scegliere i migranti in base al loro grado di istruzione, preferendo magari medici e ingegneri lasciando gli altri in Turchia. Ma soprattutto il ministro ha tenuto a precisare che il processo di riammissione dei rifugiati prenderà il via solo nel momento in cui quelli che già si trovano nell’area Schengen saranno stati ripartiti tra gli Stati dell’Unione. Visto come stanno andando i ricollocamenti, che praticamente non sono neanche cominciati, i tempi potrebbero allungarsi all’infinito.
Dopo il vertice del 7 marzo scorso, quando è stato annunciato il possibile accordo con Ankara, i 28 si sono dati appuntamento al prossimo 17 marzo per un summit che dovrebbe sancire il via libera al piano. Un modo per permettere alla cancelliera Merkel di superare le elezioni di domenica prossima in alcuni lander con in tasca una mezza promessa di soluzione alla crisi dei migranti. Le nuove condizioni poste ora da Ankara potrebbero essere un modo per convincere gli Stati europei più restii all’accordo, ma anche per alzare il prezzo ulteriormente. In cambio dell’impegno a non far partire i profughi, la Turchia ha chiesto infatti la liberalizzazione dei visti per i propri cittadini a partire da giugno, insieme all’apertura di altri capitoli del processo di adesione all’Unione europea e a 6 miliardi di euro invece dei 3 già stanziati. Concessioni che non trovano d’accordo i paesi dell’est, primo fra tutti l’Ungheria di Orban.
Le precisazioni del ministro turco rischiano adesso di far precipitare ulteriormente la situazione in Grecia. Nel paese ellenico si trovano già 41.973 migranti, stando ai dati forniti ieri dal coordinamento per la gestione della crisi dei profughi. Di questi 9.428 s trovano sulle isole di Lesbo, Samos, Chios, Kastellorizo, Kos, Leros e Kalymnos. Altri 9.623 sono alloggiati nell’area di Atene e 12 mila a Idomeni, al confine con la Macedonia. Stando al ministro per l’Immigrazione Ioannis Mouzals la Grecia è in grado accoglierne al massimo 70 mila, una cifra che, a ritmo di almeno 2.000 arrivi giornalieri, potrebbe essere raggiunta nel giro di poche settimane. Una situazione che rischia di diventare esplosiva non solo sotto l’aspetto umanitario, ma anche economico come ha sottolineato ieri il segretario generale dell’Ocse, Angek Gurria, secondo il quale «la crisi dei rifugiati crea notevoli problemi per l’economia e la crescita greca». Un aiuto ad Atene potrebbe però arrivare da Bruxelles. Dopo aver proposto lo stanziamento di 700 milioni di euro in tre anni per quei pesi che si trovano in prima linea nell’affrontare la crisi dei migranti – primo fra tutti la Greca – ieri la Commissione Ue ha chiesto il finanziamento di ulteriori 300 milioni da destinare in aiuti umanitari.
Quella per arrivare a una possibile soluzione è e resta comunque una strada in salita. E non solo per le richieste sempre maggiori della Turchia. L’accordo Ue-Turchia dei migranti è già finito nel mirino dell’Onu che ha giudicato illegali le espulsioni in massa dei profughi e ieri il presidente della commissione Ue Jean Claude Juncker non ha escluso che alcune parti dell’accordo possano essere sottoposte al voto dei parlamenti nazionali. Dubbi di violazione del diritto internazionale che non sembra però avere il governo greco, che ieri si è detto pronto a riconoscere la Turchia come «paese terzo sicuro» aprendo così la via legale al rimpatrio dei migranti. Mouzalas ha spiegato la decisione con il fatto che in Turchia ci sono già 2,8 milioni di rifugiati e che sia l’Ue che l’Unhcr intervengono per controllare la condizioni di vita nei campi profughi. Atene si prepara quindi ad abbandonare decine di migliaia di profughi al loro destino proprio mentre nell’Egeo si continua a morire. Ieri, nell’ennesimo naufragio, hanno perso la vita cinque migranti, tra i quali un neonato di tre mesi.