Dopo quanti dischi si parla di maturità? I Giardini di Mirò sono probabilmente nati maturi stilisticamente tanto che, con il nuovo lavoro, seguono il loro ritmo naturale, quello di una sinfonia che cresce, si espande come le acque di un fiume che rivolo dopo rivolo abbraccia, sommerge e devasta, per poi scivolare di nuovo nel quieto alveo. A straripare sono le suggestioni; come altri loro dischi colonne sonore, l’album ha la potenza immaginativa per ricreare lo spettacolo di un’intricata metropoli, oppure l’armonia biologica di una foresta mai pericolosa ma solo stupefacente. Diventando anche un attimo ripetitivo. Il soggetto è il tempo, diverso da Good Luck del 2012, malgrado i solchi dove il disco si struttura restino il post-rock più rarefatto, lo shoegaze, con l’anima sognante della band che si contorce per esempio nei 10 minuti di Fieldnotes (feat Daniel O’Sullivan). Tempo che torna: il disco nasce sotto l’egida di Giacomo Fiorenza. Anche Glenn Johnson è una vecchia conoscenza dei GDM, presente nel pezzo Failed To Chart mentre in Don’t Lie, fra archi e chitarre, troviamo Adele Nigro.