Milioni di animali combatterono la Grande Guerra (1914-1918) a fianco dei soldati di tutti gli eserciti e su tutti i fronti. Nonostante l’impiego di armi sempre più sofisticate e l’avvento di trasporti motorizzati, l’uomo non poté fare a meno degli animali. Un vero e proprio esercito al quale la storia non attesta il giusto ruolo e per questo si può dire che è una storia incompleta.

«Sedici milioni di soldati a quattro zampe andati in guerra e morti con i loro commilitoni umani. Di questi quasi undici milioni di equini, centomila cani e senza contare i bovini e i gatti. A questi bisogna aggiungere duecentomila piccioni viaggiatori, ma pure canarini e pappagallini. Questi sono i numeri che compongono un tragico bilancio che attesta la presenza, nel corso della Grande Guerra, di un vero e proprio esercito», racconta Serenella Ferrari, storica dell’arte, amante degli animali, che negli ultimi dieci anni si è dedicata molto allo studio della Grande Guerra vivendo a Gorizia in uno dei luoghi chiave di quel periodo storico, il fronte dell’Isonzo, dove si sono combattute le celebri e sanguinose dodici battaglie.

Ferrari, per quali impieghi questi animali erano al seguito degli eserciti?
Le mansioni erano molto varie e diverse anche a seconda delle dimensioni degli animali. Cavalli e muli servivano principalmente per trainare carri e grossa artiglieria, così come i bovini che però avevano anche il compito di fornire carne per sfamare i soldati. I gatti, grazie al loro fiuto molto sensibile, oltre che a fare compagnia, venivano sacrificati per rilevare la presenza di gas nocivi, iprite e fosgene, nelle gallerie. I cani avevano il compito di portaordini, trainare carretti per il trasporto di acqua, cibo, munizioni e piccola artiglieria. Ma erano impiegati anche nel servizio sanitario rintracciando e portando i primi soccorsi ai feriti sul campo di battaglia.
E poi i piccioni, incredibili e preziose creature. Legati alle loro zampe c’erano spesso importanti messaggi che recapitavano ai comandi con velocità, grande resistenza e soprattutto senza mai perdere l’orientamento. I piccioni, poi, erano usati anche come antesignani dei droni. Grazie a una minuscola macchina fotografica del peso di soli 40-70 grammi, brevettata nel 1908 dal medico tedesco Julius Neubronner, e applicata al loro petto tramite un’imbragatura, volavano sopra le linee nemiche mentre l’apparecchio scattava le foto mediante autoscatto.

Animali in guerra con e per l’uomo…
Sì, in tutto e per tutto. Condividendo con loro fatica, dolore, paura, ma anche la fame e il freddo. Soldati a tutti gli effetti, con tanto di numero di matricola. In alcuni frangenti, durante i mesi più freddi quando il cibo scarseggiava, soprattutto cavalli e muli furono sacrificati per sfamare molti loro commilitoni salvandone la vita. Ma non dobbiamo dimenticare il ruolo forse più importante degli animali: quello di essere non solo colleghi ma anche amici dei soldati. Spesso la loro presenza e l’opportunità di prendersene cura, consentiva agli uomini di non impazzire nell’inferno delle trincee.

Delle imprese condotte dagli animali che testimonianze restano?
Tante. Ce ne parlano direttamente i soldati attraverso le loro lettere e i diari, oppure romanzi e autobiografiche scritte dai reduci, ma anche tante fotografie scattate dai reporter in prima linea. E di imprese eroiche ce ne sono più di quelle che immaginiamo: cani, gatti, cavalli, muli e anche piccioni.
Alcuni di loro sono diventati veri e propri eroi nazionali. Basta ricordare il «sergente» Stubby, un cane coraggioso e pluridecorato presente in ben 17 battaglie o il piccione Cher Ami che durante i combattimenti delle Argonne, volando ferito per oltre 40 chilometri, salvò 194 soldati americani appartenenti al celebre «Battaglione Perduto» intrappolato in una depressione sotto l’incrocio del fuoco amico e di quello nemico.
Entrambi, oggi, sono esposti imbalsamati, alla Smithsonian Institution di Washington. E poi non dimentichiamo Warrior, il cavallo proveniente dall’Isola di Man che riuscì a sopravvivere alla guerra e ritornare in patria dove fu decorato dalla regina madre in persona. Dall’autobiografia scritta dal suo padrone, il generale John (Jack) Seely, scopriamo la sua incredibile avventura nelle trincee e da quest’opera lo scrittore Michael Morpurgo trasse un libro per ragazzi che, a sua volta, diede ispirazione al regista Steven Spielberg per realizzare il film omonimo War Horse.

Nel suo libro «Vittorio Locchi e il cane Isonzo. Storia di un’amicizia nella Grande Guerra» (Robin Edizioni, euro 18) racconta una storia realmente accaduta tra un soldato italiano e un cane randagio…
Ce la racconta una fotografia che vidi per la prima volta proprio quando organizzai nel 2014 la mostra dedicata agli animali nella Grande Guerra. Il soldato era Vittorio Locchi, poeta toscano arruolatosi volontario nel Regio Esercito Italiano con l’incarico di responsabile postale della XII Divisione di stanza a Cormòns (nei pressi di Gorizia).
Sul cane sappiamo pochissimo: di lui ci restando due fotografie scattate accanto a Locchi. In una delle due riproduzioni, forse la più celebre, troviamo vergato a penna «Con il fedele Isonzo, trovato a Gorizia l’8 agosto 1916». Una frase che dice tutto e soprattutto che ci fa capire quanto possa essere stato importante per entrambi questo incontro. Ho voluto ricostruire la storia vera di un’amicizia, sullo sfondo delle prime sei battaglie dell’Isonzo e integrando con la mia fantasia, ma in modo verosimile, le parti che non potremo mai conoscere ma solo immaginare, ovvero la storia del cane che però ha un punto fermo, il nome che gli diede Locchi: Isonzo, il fiume sacro alla patria che lambisce Gorizia.

Il suo studio sugli animali coinvolti nella Grande Guerra ha portato alla realizzatone della mostra «1914/18: la guerra e gli animali. Truppe silenziose al servizio degli eserciti». Dov’è possibile vederla?
Il cammino della mostra in giro per l’Italia era stato fermato a causa della pandemia. Ora ha ripreso il suo viaggio per continuare a raccontare una parte dimenticata della nostra storia e per ricordare il sacrificio di questi animali, di questi eroi silenziosi che non ebbero scelta. Recentemente, infatti, è stata ospitata al Civico Museo Archeologico di Casteggio e dell’Oltrepò Pavese, ma in autunno ci sarà un’occasione di fare tappa anche a Pavia.
La mostra è accompagnata da un catalogo, che ho scritto assieme all’amica e collega Susanne E. L. Probst, che racconta la storia di questi animali con moltissime fotografie. Per chi vuole è possibile richiederlo (euro 15) scrivendomi una mail (serenellaferrari@hotmail.com).
È un vero peccato che nelle scuole non se ne parli, perché si tace una parte importante della nostra Storia. Ecco il perché di una mostra e di un libro-catalogo: per dare voce a questi eroi silenziosi.