È morto Angelo Vittorioso, di cancro ai polmoni ma forse anche un po’ di stanchezza della vita, soprattutto dopo che se ne era andata Emma, la compagna di una vita, dopo una malattia lunga e stressante che probabilmente aveva molto provato anche lui. Un vecchio penserà qualcuno e forse lo pensava lui stesso dato l’appassionato cinismo con cui amava guardare la vita, quella degli altri ma anche la propria.

Ma forse vale la pena di riflettere su una vicenda umana che, fuori dalle apparenze, ha contribuito alla vita della nostra città.

La mia conoscenza di Angelo è durata 35 anni di cui 15 passati fianco a fianco nell’ufficio di Massenzio a lavorare alla manifestazione e a commentare il mondo, per lo più a lamentarci di quella entità astratta che chiamavamo “Partito” e che tanto ha contribuito a rovinarci il fegato ben prima che avercela con la politica andasse di moda.

Un’esperienza così lunga e complessa non può avere una narrazione organica tanto più che il protagonista non era persona facile nel mostrarsi agli altri quasi sempre riparato da quella maschera da romano disincantato e flemmatico che nascondeva una forte e sofferta partecipazione alle cose.

Cercherò di farlo prendendo a prestito dalla cultura popolare e da quella aulica una serie di titoli secondo il più spiccato stile massenziente.

Il disincanto tradito. Il ’68, i movimenti di liberazione delle minoranze, in primis quello delle donne, erano un’esperienza forte nel suo passato e venivano vissuti con rigore, sia nell’esperienza della Dae, la piccola casa di distribuzione che aveva aperto con Enzo Fiorenza, che in quella dell’AIACE l’associazione amici del cinema d’essai di cui era uno dei fondatori e che divenne parte integrante di Massenzio, ha sempre riportato con ironia e leggerezza la necessitò di un impegno rigoroso che mettesse al centro la serietà del discorso culturale proposta, in termini un po’ Dada, come il suo esatto contrario, la delusione è stata costante nel vedere che ciò che era provocazione ed ironia venisse visto, proprio da quelli che avrebbero dovuto esserci più vicini, come “tradimento” e superficialità.

Una vita da mediano. Non amava esporsi, a Massenzio privilegiava il rapporto con i “ragazzi” del servizio d’ordine e gli aspetti di tipo organizzativo piuttosto che la facciata, lo faceva schernendosi e quando più di una volta gli proposi di alternarci nella carica di presidente della cooperativa mi rispose immancabilmente “Io a trattare con quei matti del comune? lascia perdere vai tu che sembri più fumantino ma sei infinitamente più paziente di me”. Gli piaceva fare da guardiano del bidone ma contemporaneamente non amava farsi mettere i piedi in testa, non per sé ma da comunista in nome del rispetto che si deve a chi sta lavorando. Ad un giornalista che non essendo venuto alla conferenza stampa di Massenzio pretendeva che gli si portasse il materiale in redazione, dopo aver pazientemente spiegato che essendo tutti noi giustappunto alla conferenza stampa non aveva persone da mandare prima del pomeriggio, quando per tutta risposta l’altro affermò il tanto italiano “ma io sono il tal dei tali del tal giornale” con flemmatica precisione rispose “E io sono Angelo Vittorioso di Massenzio, se vuoi il materiale te lo vieni a prendere” e mise giù il telefono.

Il dottor Jekyll e mr. Hyde. Questo suo farsi schivo, l’accento romanesco vagamente strascicato, il guardare le cose con bonaria ironia, inducevano chi non lo conosceva bene a considerarlo come un buon organizzatore e niente più, soprattutto da parte di intellettuali e giornalisti ma anche di giovani ricercatori e studiosi di cinema, che seguivano quando non organizzavano essi stessi le nostre rassegne, ho visto spesso un certo sguardo di condiscendenza, come verso un simpatico zio da cui non ci si aspetta certo profondità e raffinatezza culturale, quante volte mi si sono poi avvicinati con espressioni incredule per dirmi “Ma lo sai che conosce… ma lo sai che ha letto… ma lo sai che mi ha suggerito…” era una persona colta e raffinata che amava le battute rozze proprio perché le trovava. in alcuni momenti. le più raffinate.

Robin Hood. Forse il riferimento è un poco forzato anche perché non avrebbe rubato un tovagliolino al bar, ma è l’unico che trovo per esprimere il profondo fastidio, quasi il disprezzo per ogni forma di privilegio, qui stava il suo modo di essere comunista. Ricordo con affetto e tenerezza il sorriso e la faccia soddisfatta di quando raccontava il suo unico rapporto con l’avvocato Agnelli:

la Dae era la distribuzione di Liliana Cavani, quando la regista mise in cantiere “La pelle” tratto dal romanzo di Curzio Malaprte, Agnelli espresse il desiderio di vedere Milarepa uno dei film più belli della Cavani che non aveva mai visto, prima di decidere se entrare come finanziatore nel nuovo progetto, di conseguenza un pomeriggio squillò il telefono della Dae ed Angelo sentì dall’altra parte una gentile e professionale voce femminile:” Pronto? Sono la segretaria dell’Avvocato.” ( la maiuscola l’ho messa io ma giurava Angelo che si sentiva tutta) “dell’avvocato chi? Scusi.” “Ma qui a Torino tutti sanno chi è l’avvocato! L’avvocato Agnelli” “Mi scusi ma a Roma ce ne sono tanti di avvocati e bisogna specificare.” “Comunque… l’Avvocato (ancora quella maiuscola!) vorrebbe vedere Milarepa della Cavani ce ne può mandare una copia?” “Certo sono 200.000 lire e le spese di spedizione a vostro carico” “Ma… veramente quando l’avvocato vuol vedere un film tutti i distributori ci danno la copia gratis” “Tutti i distributori tranne la Dae che è una piccola casa di distribuzione che vive del proprio lavoro, se vuole una copia queste sono le condizioni se no può sempre aspettare che esca in un cineclub di Torino ce ne sono di ottimi”. A questo punto si faceva una bella risata e diceva “Avrei voluto conservare l’assegno e incorniciarlo, Agnelli che paga un comunista, ma tant’è era vero che quei soldi servivano a mandare avanti la baracca”.

Comunista e Gentiluomo. In verità questo è un falso riferimento letterario, è il titolo che avremmo voluto per il libro che editammo con Luca Sassella editore su Massimo Girotti, poi l’autrice optò per “Il corpo gentile” e noi l’assecondammo. Mi piace ricordarlo così: elegante senza strafare testimone al mio matrimonio. Senza patente. Con l’eterna sigaretta in bocca mentre parla nelle “retrovie” con i ragazzi della sorveglianza a Massenzio, si avvicina uno strappabiglietti “Scusa Angelo puoi venire alla porta c’è un signore che dice di essere un giornalista ma è senza accredito, ha alzato la voce e noi non sappiamo come fare” “Arrivo”. Poi con il suo bel sorriso stampato in faccia “Mi dica qual è il problema?” “Sono un giornalista, non ho fatto in tempo a passare al giornale per prendere l’accredito e qui mi fanno storie” “I ragazzi non fanno storie noi non facciamo entrare qualsiasi giornalista ma solo quelli accreditati dal nostro ufficio stampa” “Non ha capito, io sono qui per lavoro e sarebbe il colmo che dovessi pagare anche il biglietto” “Va bene non è usuale ma entri le vado a prendere un biglietto omaggio alla cassa… e la signorina?” “Lei è con me” “Immagino non sia anche lei qui per lavoro e quindi deve fare il biglietto” “Certo vado subito a farlo.” Poi, entrando il signore agita il biglietto pagato e apostrofa Angelo “Di questo parleranno domani i giornali” e Angelo avvicinandosi con fare suadente quasi a prenderlo sottobraccio “E immagino che diranno che siamo una massa di cafoni.” “No, questo non posso dirlo” “Può, può perché io adesso… la mando a fare in culo”.

Raccontavi sempre che un amico, ad una partita di poker in cui uno dei giocatori non avendo i soldi della puntata disse “debbo”, rispose: alla parola debbo il gioco cessa come per incanto e forse la vita cominciava a doverti troppo, addio caro angelo chissà se esiste un paradiso dei cinefili in cui vedersi in pace qualche vecchia pellicola proiettata bene,