In Italia, tradizionalmente, è uno dei momenti solenni della liturgia politica: quando chiede la fiducia, il presidente del consiglio incaricato tiene un discorso alle Camere, a cui seguono gli interventi dei capigruppo e di peones con ansie di protagonismo. Sfoggio di retorica, buoni propositi, duelli verbali: e il tutto «di fronte ai cittadini» in diretta tv. In Germania non accade nulla di tutto ciò: nessun dibattito nel giorno d’investitura del capo del governo, soltanto la votazione nel Bundestag (la camera bassa) e il giuramento di fronte al presidente della repubblica.

Così è stato anche ieri, quando Angela Merkel è stata eletta, intorno alle 10 del mattino, cancelliere federale di Germania per la terza volta. Nessuna discussione di cui riferire, quindi, ma soltanto numeri: a favore della leader democristiana (Cdu) hanno votato 462 deputati su un totale di 621 presenti. Che la maggioranza fosse schiacciante era ovviamente scontato: ciò su cui l’attenzione era alta era esclusivamente il numero di «franchi tiratori» nelle file della grosse Koalition formata da Cdu, Csu (i democristiani bavaresi) e partito socialdemocratico (Spd). Di 504 voti teoricamente a disposizione – tenuto conto delle assenze – Merkel ne ha persi per strada una quarantina.

Nulla di preoccupante per la cancelliera, ma certamente un flebile segnale che l’accordo di governo non soddisfa proprio tutti. La gran parte dei deputati di maggioranza che hanno fatto mancare il loro appoggio siede, molto probabilmente, nei banchi della Spd, dove esiste un nucleo di irriducibili avversari delle «larghe intese».

Mal di pancia si erano registrati anche nella Csu, considerata la più penalizzata dalla ripartizione degli incarichi di governo. I bavaresi continuano ad avere tre posti come nel gabinetto precedente, ma hanno perso il ministero degli interni ottenendo in cambio quello alla cooperazione internazionale: dimostrazione che il loro peso politico nel governo è sceso. Il che – va detto – non è una cattiva notizia.

Il primo intervento in parlamento della neo-rieletta Merkel è previsto stamattina: la cancelliera presenta la propria agenda in vista del prossimo Consiglio europeo (la riunione dei capi di governo della Ue) in programma da domani.

Al primo punto dell’ordine del giorno c’è il tema della sicurezza e difesa comune, ma il piatto forte del vertice di Bruxelles sarà come sempre la situazione economica, «con una valutazione dei leader sugli sforzi compiuti per favorire crescita, occupazione e competitività», come recita il programma ufficiale. Facile immaginare cosa dirà la democristiana tedesca: avanti con le «riforme strutturali» nel Sud Europa, nessun «aiuto» in assenza di «controprestazioni» dei Paesi in crisi. La linea di Berlino non è cambiata.

Con l’inizio «vero» della legislatura è coinciso lo sblocco dello stallo anche nel Land dell’Assia, la regione di Francoforte. Qui nessuna «grande coalizione», ma un patto di governo fra democristiani e Verdi. Non una novità assoluta, ma quasi: l’unico precedente è quello di Amburgo (una città che è anche un Land) nel 2008. Nonostante non sia un fatto inedito, la «strana intesa» siglata ufficialmente ieri ha il sapore di una prima volta: sia perché l’Assia è politicamente molto più «pesante» che Amburgo (una regione contro una città), sia per le caratteristiche della locale Cdu, tradizionalmente molto più «di destra» di quella amburghese.

L’alleanza fra Cdu ed ecologisti non era l’unica possibile: dalle urne di settembre, infatti, era uscita una maggioranza numerica di sinistra. Nel parlamento regionale Spd, Verdi e Linke dispongono di un seggio in più rispetto alle forze del centrodestra: uno scenario simile a quello del Bundestag.

Dopo settimane di trattative, però, fra i tre partiti progressisti non c’è stato accordo, e a quel punto la Cdu ha bussato alla porta dei Grünen, mostrando disponibilità ad accettare la rivendicazione storica degli ecologisti di quella zona: la limitazione del traffico aereo dello scalo di Francoforte. E l’intesa è arrivata: la svolta a sinistra, anche in Assia, può attendere.