È la storia dell’anarchico che vola giù dalla finestra di un posto di polizia. Quando nel dicembre del 1970 Dario Fo decise di portare in scena la morte di Giuseppe Pinelli, onde evitare guai, cambiò nome al protagonista in Andrea Salsedo.
Si tratta, in realtà, del nome di un personaggio che è esistito davvero, con la biografia avventurosa da sovversivo d’inizio Novecento a cavallo tra l’Italia e l’America, il cursus honorum da agitatore a tempo pieno e la fine che sembra l’anteprima assoluta di quello che tempo dopo sarebbe diventato quasi un luogo comune: morto durante un interrogatorio, precipitato dal quattordicesimo piano del Park Row Building di New York City, dove aveva sede l’Fbi, la notte del 3 maggio 1920.

Andrea Salsedo. Vita, galera e morte dell’editore anarchico suicidato dalla polizia americana di Giuseppe Galzerano (Galzerano Editore/Atti e memorie del popolo, pp. 1168, euro 50 – si può richiedere scrivendo a galzeranoeditore@tiscali.it) raccoglie tutto quello che c’è da sapere su questa vicenda, forte di una mole incredibile di fonti storiografiche, di ricerche d’archivio e dello studio attentissimo di quanto ha da offrire il materiale desecretato del Department of justice statunitense. Ne viene fuori un’opera extralarge in cui si ricostruisce non solo la storia di Salsedo, ma anche quella di tanti suoi compagni, in Italia, in Europa e dall’altra parte dell’Atlantico. Il lavoro di Galzerano si suddivide infatti in due parti: nella prima si raccontano fino all’estremo dettaglio «la vita, la galera e la morte» di Salsedo, mentre le ultime 400 pagine sono un imperdibile dizionario biografico diviso per compagni, nemici, spie e altri.

IL CONTESTO, nella storia, è quasi tutto, e scandagliare le esistenze degli irregolari d’inizio secolo, attenzionati, ricercati, confinati, perseguitati è un esercizio di memoria utile a ricordare che certe faccende sono sempre andate nello stesso modo: gli anarchici, si sa, capiscono solo il bastone. Partito da Pantelleria a 25 anni, nel 1906, a New York Salsedo si incontra con il confinato Luigi Galieni. Con lui si dedica alla fondazione di una rivista («Cronaca Sovversiva»), alle immancabili lotte sindacali e infine all’opposizione alla chiamata alle armi per la Prima Guerra Mondiale. È la vita di un uomo sicuramente carismatico, consapevole dell’importanza dell’arma della critica ma anche della critica delle armi, nemico (pubblico) di ogni autorità costituita e di ogni costrizione.
Cominciano gli anni ’20, gli Stati Uniti la guerra l’hanno stravinta, il mondo ha cominciato a capire di essere in presenza di un paese enorme, fortissimo e, a tratti, spaventoso. L’ottimismo prevale in società, ma in controluce già si vedono le avvisaglie della Grande Depressione.

PER SALSEDO E COMPAGNI (tra gli altri, Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco) l’orizzonte è ovviamente la lotta a ogni ingiustizia, il riscatto degli oppressi, il rovesciamento dell’autorità. In estrema sintesi, la libertà. Quella vera, non quella che ti consente di poter scegliere cosa comprare (e manco tutto, c’era il proibizionismo).
Il 25 febbraio del 1920, Salsedo e un altro anarchico, Roberto Elia, dopo un pedinamento durato settimane, vengono arrestati dall’Fbi: sarebbero loro i responsabili della stesura e della diffusione dell’opuscolo sovversivo intitolato «Il piano e le parole». L’avvocato non è un’opzione messa in campo dai gendarmi che per mesi trattengono i due e li sottopongono a violenze e torture di vario genere. Salsedo e Elia riconoscono la paternità dell’opuscolo ma non confessano quello che gli investigatori vogliono sentirsi dire, e cioè i nomi dei responsabili di una serie di attentati avvenuti in città nei mesi precedenti. Il 3 maggio, alle 4 e 20 del mattino, Salsedo vola giù dalla finestra.

L’Fbi – corsi e ricorsi storici – bollerà l’evento come suicidio, il Dipartimento di giustizia e la polizia di New York negheranno ogni responsabilità sulla sua morte. La stampa, anche quella borghese, andrà comunque in ebollizione, ma oltre a qualche articolo e a qualche blandissima rimostranza arrivata anche dalle istituzioni italiane non succederà granché.

INTERESSANTE, comunque, notare come le pratiche e le storture delle autorità di un secolo fa non erano troppo dissimili da quelle di adesso: una serie di versioni spesso tra loro contraddittorie, quando non apertamente assurde. Per esempio, la polizia newyorkese arrivò a sostenere che Salsedo ed Elia avrebbero chiesto di propria sponte di essere trattenuti in caserma e che loro non avevano potuto fare altro che accontentarli.
Con le competenze dello storico, lo spirito dell’investigatore e il cuore del libertario, nel suo libro Galzerano riapre il cold case, ne analizza ogni passaggio, dà valore alle testimonianze, collega i documenti e porta davanti agli occhi del lettore una verità difficilmente contestabile: Andrea Salsedo è stato suicidato dall’Fbi.

Dalle pieghe della storia, tra le carte e le voci di cento anni fa, emerge il tratto comune che segna il destino dell’anarchia: la persecuzione. Galzerano non ammonisce, semplicemente spiega che così sono andate le cose e così continuano ad andare: lo fa sia con Salsedo sia con un incessante lavoro di ricerca storica (il catalogo della sua casa editrice è una rassegna di scioperi, battaglie, rivolte, assalti al cielo e epiche vicende dimenticate). Quel che resta, alla fine, è la resistenza. Alle mode, agli anni e ai governi che passano. Passano sempre.