Andrea Camilleri è uno degli scrittori italiani più omaggiato dai media mainstream che si conosca. L’apologia delle sue opere è arrivata sia quando era in vita che dopo la sua morte. Autore televisivo, teatrale, cinematografico, scrittore con la passione della storia della sua Sicilia, ma anche acuto e innovatore del genere giallo con il commissario Montalbano, figura e ciclo di romanzi trasportati sul piccolo schermo che lo hanno reso noto al grande pubblico ed esplicito omaggio allo scrittore catalano Manuel Vázquez Montalbán.
La casa editrice DeriveApprodi ha dedicato a Camilleri uno degli abecedari della sua collana (pp. 60, video 316 minuti, euro 18), facendo entrare il nome dello scrittore in una galleria che gli vede accanto Gilles Deleuze, Mario Tronti, Edoardo Sanguineti. A curarlo il regista televisivo Eugenio Cappuccio e l’autrice teatrale Valentina Alferj, discreta e puntuale assistente di Camilleri dal 2002.

SONO DUE DVD durante i quali Camilleri disfa con la maestria e il divertimento del grande affabulatore la matassa di un vocabolario e di parole chiave che aiutano non solo a rappresentare efficacemente la sua produzione letteraria, ma anche settant’anni di storia italiana.
Le parole chiave spaziano dagli anni Settanta a buonumore, dai comunisti allo zabaione, da quarto potere al viagra, da Hammet a Sellerio. Tutto viene svolto con leggerezza, senza prendersi troppo sul serio. Camilleri riavvolge il filo della memoria, restituisce il clima di sperimentazione e innovazione linguistica del quale è stato uno dei protagonisti negli anni Sessanta e Settanta in televisione. È consapevole degli azzardi fatti, ma anche dei tanti compromessi che ha dovuto fare per realizzare cose televisive controcorrente rispetto il controllo democristiano della Rai.
Della vita di Andrea Camilleri si è scritto molto. Non ha problemi a dichiarare anche in questo abecedario che in gioventù ha strizzato l’occhio al fascismo, ritenuto il regime che potrebbe rigenerare lo spirito pubblico italiano. Il suo antifascismo e l’adesione al partito comunista sono poi raccontati come una evoluzione naturale per chi non ha voluto chiudere gli occhi sulla realtà, cioè sul fatto che il fascismo stava portando l’Italia al disastro, cosa puntualmente accaduta con la seconda guerra mondiale.

IL TRASFERIMENTO a Roma, la frequentazione dell’Accademia nazionale di arte drammatica sono l’inizio di una carriera in salita. Lavora molto e guadagna poco agli inizi. È un comunista e per lui molte porte sono sbarrate. Per anni, lo ripete spesso con ironia e senza vittimismo, ha avuto difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena non solo per lui, ma anche per la sua compagna e prole.
Le avanguardie affascinano infatti questo ormai funzionario Rai, Dario Fo è un alfiere di un teatro aperto al nuovo, così il gruppo 63 che sarà pure spericolato nel suo sperimentalismo stilistico eppure costituisce l’aria senza cui è impossibile immaginare di fare manufatti culturali in una tv che registra la rapida trasformazione che investe il mondo.
C’è poi l’intrattenimento. Il ballerino Don Lurio che destava scandalo per l’uso sensuale del suo corpo maschile. Oppure che le gemelle Kessler con le loro gambe nude e il loro lato B in evidenza erano espressione di una critica al moralismo e all’attitudine bigotta della chiesa cattolica. L’uso del corpo nudo in tv era certo vietato, forzare la censura non era espressione di una mercificazione ma il pertugio che poteva portare alla liberazione della propria sessualità. Che delusione per lo scrittore siciliano vedere che anni dopo i pentiti del Sessantotto passati, nel frattempo, armi e bagagli alle tv di Silvio Berlusconi hanno cambiato di segno a un lessico sovversivo per fare una tv che di quella rivendicata libertà ha fatto invece merce e negazione della libertà.
C’è poi la letteratura. Quella storica, quella che lo porta a riscoprire i classici del teatro e della tragedia greca. Pirandello, ovviamente, ma anche Calvino, Vittorini, Tomasi di Lampedusa. E Montalbano, personaggio inventato, come il siciliano inventato, una rielaborazione e un «tradimento» dei suoni e delle parole che lo scrittore sentiva pronunciare nelle strade di Empedocle. E Camilleri addolcirà, quelle parole, le renderà più comprensibili, perché ha appreso in Rai che un buon prodotto è quello che è compreso anche dal grande pubblico. E Montalbano è questo. Un buon prodotto, una buona sceneggiatura e buoni attori per un personaggio che racconta la Sicilia, la mafia che diventa impresa criminale globale, le ondate migratorie che investono il Mediterraneo, l’uso criminale e autoritario di apparati dello stato per colpire gli oppositori – la voce Genova 2001 – le possibilità di resistenza dentro e fuori le istituzioni repubblicane.

C’È IN QUESTO ABECEDARIO la restituzione di una ricerca stilistica con luci e ombre. Andrea Camilleri ama fare prodotti nazionalpopolari, cercando così di raggiungere una medietà contenutistica. Ma nel fare questo rompe tuttavia la gabbia del nazionalpopolare. Un media condanna, come ha elaborato Umberto Eco, all’innovazione se vuoi violare i confini angusti dell’audience. I romanzi e le sceneggiature di Montalbano questo sono. L’ultima opera di Camilleri, Conversazioni su Tiresia (Sellerio), non è solo la storia di una cecità senile, ma della esplorazione, perse le coordinate di un canone dominante, come può essere lo stile enunciativo nazionalpopolare, di territori sconosciuti, dove la cecità più che un handicap viene dunque vissuta come possibilità di sperimentare sensibilità inedite, forzando le barriere della banalità.
Un abecedario dunque da ascoltare, leggere, riascoltare e rileggere. Ogni volta c’è qualche cosa che pare aggiunto, limitato, rielaborato da un intellettuale pubblico disincantato e leggero come è stato Andrea Camilleri.