In Ancora un’estate, il nuovo film di Catherine Breillat, Anna (Lea Drucker) è una famosa avvocata specializzata in cause per la protezione dei minori in una cittadina della provincia francese. È sposata a un uomo intelligente e di successo, Pierre (Olivier Rabourdin), con il quale – mentre fanno sesso – scherza sulla passione «gerontofila» che, da ragazza, aveva sviluppato per un amico di sua madre. Anne e Pierre vivono con due deliziose bimbe adottive in una bella villa isolata, nel cui giardino pieno di sole estivo l’avvocatessa annaffia i suoi pasti e le sue conversazioni con copiosi bicchieri di vino – bianco come il colore dominante nel suo guardaroba alto borghese. Non è solo quella serenità coniugale, ma anche il sistema di valori che Anne riflette professionalmente, ad essere messi in forse dall’apparizione nel quadro famigliare di Théo (Samuel Kircher), figlio diciassettenne del primo matrimonio di Pierre, e quindi almeno trent’anni più giovane di lei. Il suo arrivo, da un riformatorio svizzero (dove è finito dopo l’ultima bravata), è annunciato da una costellazione di abiti e scarpe casualmente abbandonati sul pavimento del soggiorno.

A QUELLA TRASGRESSIONE – che già annuncia un’atmosfera di sensualità adolescenziale allo stesso tempo inconscia e provocatoria – seguono le sigarette (ha cominciato a nove anni, con sua madre, Théo spiega ad Anne), il torso nudo al tavolo del pranzo, una gita al lago dove l’avvocata si unisce ai giochi in acqua dei bambini ammonendo Théo che, quando era piccola, chi la spingeva sotto la superficie cercando di farla bere, con lei «aveva chiuso».

È solo questione di tempo perché tra i due scoppi una passione, la cui prepotente carnalità, anche nelle sequenze più intime, ci viene rivelata in una mise en scène dei volti (ed è una delle tante, belle scelte di Breillat) dove contrasta la gestualità infiammata e confusa di emozioni tra Anne a Théo con quella dolcemente affettuosa del sesso tra lei e il marito. Parzialmente ispirato dal film danese Queen of Hearts (2019), Ancora un’estate, che Breillat ha sceneggiato insieme a Pascal Bonitzer, è meno interessato a rispolverare il coté «illegittimo» del rapporto tra una donna matura e un ragazzo (per ricordare poi che, invertendo i sessi, ci si trova di fronte quasi a un’abitudine) che ad aprire invece dei punti interrogativi su cosa quella differenza d’età significhi – per esempio quando l’affaire salta fuori e Anne calibra la sua reazione (a sorpresa, drammaticamente parlando, ma ancor più per una storia di amour fou) grazie a degli strumenti di comportamento che Théo, vista la sua giovane età, non può ancora avere.

Nelle note di produzione del film, Breillat afferma: «Credo ancora che la vera arte sia morale nella sua capacità di guardare alle persone e trasfigurarle per farne sbocciare la bellezza. Il mio lavoro si interroga sulla sessualità, anche con asprezza, ma i miei film sono prima di tutto poetici: mi interessa il desiderio, l’amore, la pulsione amorosa, il senso di colpa… insomma tutto ciò che ci sfugge, che ha a che fare con il non detto e con quello che io chiamo il nostro “luogo comune”. Dal momento in cui Anne e Théo abbracciano il loro desiderio, la stessa presenza del ragazzo fa sembrare Anne più giovane, le dona luce e grazia. Sembra rivivere l’adolescenza di cui è stata privata, perché si lascia intendere che questo periodo della sua vita le è stato rovinato. E questa luce tra loro fa capire al pubblico che si sono innamorati».

LA PROVOCAZIONE del film non sta infatti nella relazione «scandalosa» tra Théo e Anne, ma nell’accettarne la sincerità e l’immediatezza senza, allo stesso tempo, condannare Anne all’autodistruzione o al rifiuto. In Ancora un’estate (dietro a cui c’è lo spericolato produttore tunisino Said Ben Said, abituale collaboratore di Verhoeven e De Palma), lo scandalo è più sottile. E più profondo, come d’altra parte le sue cicatrici.