“E’ il clima generale del carcere, che è terribile, a portare a situazioni patologiche come queste”. Giuseppe Matulli, portavoce dell’associazione di volontariato Pantagruel da molti anni impegnata a sostegno dei diritti dei detenuti, offre una convincente chiave di lettura dell’ennesimo caso di pestaggi e violenze in carcere. Una inchiesta partita da una segnalazione alla magistratura dal comandante del reparto di polizia penitenziaria del carcere fiorentino, e che ha portato all’arresto di tre agenti accusati di tortura e falso ideologico, con altri sei colleghi interdetti dall’incarico per un anno.
Le indagini che la pm Christine Von Borries ha affidato al Nucleo investigativo centrale della stessa polizia penitenziaria, fatte anche con intercettazioni ambientali, si sono focalizzate su due pestaggi, nel 2018 e nel 2019, ai danni di un detenuto marocchino e un italiano. Le violenze avvenivano nell’ufficio di un’ispettrice penitenziaria di 50 anni, finita ai domiciliari, che insieme a un capoposto e a un altro agente era a capo, secondo le accuse, di una “squadra” che non lesinava botte ai detenuti. Così nell’aprile 2019 il giovane marocchino, per aver risposto male a un agente, è stato preso a pugni, schiaffi e calci fino a impedirgli di respirare, poi costretto a denudarsi nella stanza di isolamento, infine portato in infermeria, con 20 giorni di prognosi per la frattura di due costole e l’uscita di un’ernia all’altezza dello stomaco. Stesso modus operandi per il detenuto italiano, che nel dicembre 2018 è stato immobilizzato da otto agenti nell’ufficio del capoposto e picchiato fino a perforargli un timpano.
Per coprire i pestaggi, nel caso del giovane marocchino l’ispettrice aveva scritto una relazione in cui dichiarava che i colleghi erano stati costretti a intervenire perché lui aveva cercato di aggredirla sessualmente. Mentre gli altri indagati cercavano di giustificare le violenze denunciando falsamente i detenuti per resistenza a pubblico ufficiale. Tutti sono stati sospesi dal servizio, e le indagini vanno avanti, anche grazie alle immagini delle telecamere del circuito interno di Sollicciano, prospettando il coinvolgimento di altri, ulteriori agenti. “Ma lo ripeto – tira le somme Beppe Matulli – anche se tutti i 38mila agenti fossero in gamba, il sistema carcere non potrebbe ugualmente funzionare. Perché l’amministrazione penitenziaria, taglio dopo taglio della spesa pubblica, e alle prese con un sovraffollamento diventato endemico, non è in grado di assicurare la funzione costituzionale del recupero dei detenuti alla vita sociale.
Intanto, a pochi chilometri di distanza, andranno a processo con rito abbreviato 10 agenti del carcere di San Gimignano, accusati di concorso in tortura e di lesioni aggravate a un detenuto tunisino. Fatti risalenti al 2018, per i quali altri cinque agenti il 18 maggio prossimo saranno davanti al giudice, nel primo dibattimento nel quale viene contestato il reato di tortura, introdotto nel 2017.