Luigi Di Maio prova a intaccare la regola che tiene in ostaggio molti degli eletti che contano nel Movimento 5 Stelle, lui compreso: il tetto del doppio mandato. Così, preso atto che né Beppe Grillo né molti degli iscritti sono pronti alla cancellazione tout court di uno dei principi base del M5S, decide che per il momento non verrà conteggiato il primo mandato elettivo nelle amministrazioni locali. Tutto ciò al fine di «non disperdere l’esperienza che un consigliere comunale ha maturato durante il suo mandato», annuncia il «capo politico» del M5S su Facebook.

È quella che con una formula che ricorda i prodotti dietetici chiama la regola del «mandato zero», «un primo mandato che non si conta, che non vale», anche se «solo per i consiglieri comunali e per i consiglieri di municipio». Dunque non per sindaci o presidenti di assemblee comunali. Tanto meno per deputati e senatori, il che comporta che la presenza in parlamento dell’attuale gruppo dirigente del M5S è ancora sottoposto a una scadenza che si avvicina giorno dopo giorno. Al contrario, sia Virginia Raggi a Roma che Chiara Appendino a Torino avrebbero la possibilità di usufruire della deroga e ricandidarsi, visto che hanno consumato il primo mandato da consigliere comunali.

L’istituzione del «mandato zero» verrà sottoposta giovedì e venerdì prossimi all’approvazione degli iscritti alla piattaforma Rousseau, assieme agli altri quesiti sulla riorganizzazione del Movimento 5 Stelle. La consultazione, come di consueto un prendere o lasciare che lascia un potere di pura ratifica online agli iscritti, è stata definita da Di Maio «Assemblea». Non si tratta soltanto di un’espressione retorica che evoca la partecipazione, ma di una questione di diritto fondamentale: in passato diversi giuristi hanno contestato la legittimità di modifiche allo statuto del M5S effettuate senza convocazioni formali di assemblee degli iscritti. Adesso Di Maio prova ad aggirare questa eccezione considerando la votazione online come una specie di assemblea virtuale da lui stesso convocata formalmente nella veste di leader e referente legale dell’associazione Movimento 5 Stelle. Gli iscritti dovrebbero esprimersi sui due mandati, sull’introduzione della figure dei «facilitatori regionali» e del gruppo di coordinamento nazionale che Di Maio ha battezzato enfaticamente «team del futuro». Inoltre, il pacchetto di modifiche allo statuto prevede la possibilità di allearsi con liste civiche per diventare più concorrenziali al voto amministrativo, anche se i vertici si riservano la possibilità di verificare che gli alleati scelti su scala locale siano consoni al M5S. Per Di Maio queste proposte «non sono stati calate dall’alto, vengono da mesi di assemblee sul territorio». In realtà il M5S sembra patire proprio la crisi dei gruppi locali, di quello che è venuto dopo i MeetUp. Di Maio nega: «Alle politiche abbiamo avuto 11 milioni di voti – spiega – abbiamo 100 mila iscritti a Rousseau e circa 8 mila attivisti. Abbiamo un potenziale enorme di persone che conoscono il M5S e lo sostengono ma non partecipano sul territorio. Se con questa riorganizzazione riattiviamo i cittadini, allora questo paese potrà cambiare».

Non mancano le polemiche. Sulle bacheche di diversi esponenti storici dei 5 Stelle sono rimbalzate le proteste di attivisti che hanno contestato gli incontri regionali di Di Maio e le modalità scelte per incontrare eletti e iscritti sul territorio; i tempi contingentati degli interventi (due minuti, contro apertura e chiusura fiume del «capo politico»), la richiesta di non filmare e divulgare i contenuti dell’assemblea, la partecipazione blindata.