«Il Movimento 5 Stelle aveva bisogno di un impegno di pedagogia didattica e questo impegno finalmente è avvenuto e ha dato i suoi frutti. Il M5S ha scoperto di non avere proprio niente contro l’Europa». Con queste parole il professor Mario Monti, intervenuto al senato nel dibattito che ha seguito le comunicazioni di Giuseppe Conte sul Mes, ha promosso i 5 Stelle e salutato la nuova fase, quella della realpolitik.
Poche ore prima, nel corso della discussione alla camera, Giorgia Meloni aveva invitato i deputati 5 Stelle a restare fedeli alle origini del «VaffaDay» e mandare a quel paese l’Europa e l’intera classe politica.
Da una parte il Monti simbolo della tecnocrazia e dall’altra la sovranista Meloni. A un estremo gli approdi moderati e all’altro le origini populiste. In questo spazio si sono mossi i parlamentari del Movimento 5 Stelle nei giorni di travaglio interno che hanno preceduto il voto sulla riforma del Mes. Sembrava il terreno adatto per fare emergere l’ennesima divisione, e per segnalare le incertezze del M5S nei momenti chiave, e invece sembra diventata la consacrazione di una svolta pragmatica e governista che era nell’aria.
Utilizzando l’arma molto prosaica del rischio della caduta di governo, Di Maio e gli altri ministri grillini hanno usato il voto di ieri per scremare una volta per tutte i gruppi parlamentari e capire fino a che punto può arrivare il dissenso interno. Il segnale che la baracca avrebbe tenuto era arrivato la settimana scorsa dal parlamento europeo, quando Alessandro Di Battista aveva preso le distanze la mini-scissione di quattro eurodeputati che pure nelle settimane precedenti gli erano stati vicino. Proprio ieri, mentre si votava sul Mes, i Verdi europei hanno comunicato di accoglierli nel loro gruppo. e uno di loro, Ignazio Corrao, ha detto chiaramente che la battaglia intterna ai 5 Stelle è ormai perduta, e anzi ha ricordato che il tempo speso nei posizionamenti tattici e nei duelli tra correnti toglie spazio alle relazioni con i soggetti che si muovono al di fuori dei palazzi.Come a dire: i nostri ex colleghi si sono infilati in un gioco autoferenziale.
Nelle ore precedenti al voto di ieri alla camera e al senato, Di Battista ha confermato la sua linea di dissenso ma non di rottura dando indicazione ai suoi: «Il governo non deve cadere, salviamo Conte ma in seguito faremo scontare a Crimi e Di Maio la pessima gestione della vicenda Mes», è più o meno la linea dell’ex deputato. Da qui è arrivata l’annuncio di Barbara Lezzi sul «punto di caduta» sulla risoluzione e la fumata bianca del M5S sulle sorti della maggioranza. In questo modo Di Maio è riuscito a «normalizzare» l’opposizione interna, a metterla nei binari di una dialettica di partito che avvicina ulteriormente i 5 Stelle a una forza politica tradizionale. Non è un caso che proprio Lezzi sia da ieri considerata papabile per la nuova segreteria, l’organismo della leadership collegiale che dovrebbe prendere forma dopo il tramonto della figura del «capo politico».
Per i dissidenti, (pochi ma non insignificanti dal punto di vista dei numeri e del peso specifico) si prepara la scure dei provvedimenti disciplinari: «Nel codice etico – minaccia Crimi – c’è scritto che si lavora in coordinamento con i propri colleghi, si rispetta il principio democratico della maggioranza». I prossimi giorni saranno decisivi.
Oggi, intanto, il nuovo M5S fa ancora un passo avanti. Su Rousseau si votano le conclusioni di quegli Stati generali che in verità fino a poche ora fa parevano finiti nel dimenticatoio, visto che la discussione politica sull’identità e le prospettive del M5S si è svolta attorno alle scelte strategiche europee e non nelle assemblee da remoto che hanno prodotto una sintesi che sfugge di mano a molti. Sulla piattaforma di Casaleggio gli iscritti certificati dovranno esprimersi su di una risoluzione scomposta in 23 quesiti.