In piazza Duomo piove a dirotto. “Mi sa che lui avrebbe voluto così”. Un discorso, un ricordo commosso ma anche un invito a non piangersi addosso per dire di un’amicizia che dura da più di cinquant’anni e che gli ha insegnato tanto. Alla fine il dolore ma anche la gioia per gli ultimi istanti trascorsi insieme. Tutta una vita. A Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e molto altro, è stato affidato il compito di raccontare chi era Dario Fo nel giorno del suo funerale.

All’inizio del tuo intervento, come a sgomberare il campo da un equivoco molto spiacevole, ci hai tenuto a sottolineare una cosa e il tono era polemico. Hai detto che era impossibile e ingiusto separare l’artista Dario Fo dal politico e ti sei espressamente riferito ad alcune “persone molto oneste e sincere” che oggi la pensano così.

Sì, in questi giorni ho sentito parecchie cose su Dario. Prima di tutto volevo precisare che dobbiamo avere il coraggio di dire che non si può separare l’arte di un artista così sublime dal suo impegno politico. Sarebbe un tentativo di ridimensionarlo. Non si può fare. Tutta la vita di Dario Fo è stata impegno e politica. Bisogna prenderlo per quello che è stato.

Chi sarebbero queste persone “oneste e sincere”?

Non te lo dico neanche sotto tortura.

Mi pare di conoscerle. Ti riferisci a quella parte della sinistra che non perdona a Dario Fo la sua adesione al Movimento Cinque Stelle?

Tutti devono guardare questa sua scelta come una delle molteplici espressioni della sua grande arte. Con un personaggio come Dario Fo non possiamo negare l’evidenza solo perché non ci fa più comodo. Sono sicuro che lui sarebbe sempre all’opposizione di qualunque gruppo politico capace di trasformarsi in una componente del potere. Magari un giorno si sarebbe posizionato in questo modo anche con il M5S, lui era fatto così.

Sul palco del Duomo il partito di Grillo era molto rappresentato.

Adesso Dario Fo fa parte anche della loro storia, inutile negarlo. La figura di un uomo simile non può diventare oggetto di proprietà, secondo me una giornata come quella di ieri dovevamo viverla tutti insieme ed è stato proprio così. C’erano quelli di ieri, quelli di oggi e quelli di domani.

La piazza però non era pienissima. Non credi che una parte della sinistra milanese abbia deciso di non esserci?

Credo che sia stata una piazza gloriosa, pioveva a dirotto. Molte persone si sono rifugiate sotto i portici. Mi hanno colpito i giovani, erano tantissimi. Ho sentito che vogliono tornare nelle scuole per farsi spiegare chi era Dario. C’erano loro e c’era anche la generazione della Palazzina Liberty.

Il figlio Jacopo con parole molto dure ha puntato il dito contro quelli che oggi omaggiano suo padre dopo averlo censurato per una vita.

Comprendo il suo sfogo, è un uomo che è stato sottoposto a un tour de force non indifferente. Jacopo ha una profonda cognizione di quello che hanno dovuto sopportare suo padre e sua madre. Quello che dispiace, oggi, è ascoltare la voce degli ipocriti che lo celebrano, che ci sono e sono tanti.

Lo conoscevi da una vita, cosa ti ha colpito di più in questi giorni?

La sua incredibile vitalità. L’ho visto cinque giorni fa. Lottava e soffriva, era sotto l’effetto degli antidolorifici eppure insieme al dolore è riuscito a trasmettermi anche la gioia. Arrivare a novant’anni così è una cosa straordinaria, tutti ci metterebbero la firma. Fino alla fine ci ha insegnato che i poveri devono stare allegri perché troppo piangere fa bene al re.

Hai invitato la piazza ad essere allegra in un giorno triste. Non hai la sensazione che abbiamo assistito a un altro funerale della sinistra?

Ma è nelle cose che sia così! E’ un ciclo, un fatto generazionale, tutto passa ma va bene lo stesso, perché poi si ricomincia. Non sono triste. Io in quella piazza storica ci ho visto un atto d’amore.