Lo aspetta un’annunciatissima mozione di sfiducia, la sua stessa maggioranza lo critica di continuo, lo contestano gli avvocati penalisti e buona parte della dottrina giuridica, non di rado si mette in difficoltà da solo con le sue gaffe, ma il ministro Alfonso Bonafede aveva potuto contare fin qui sul sostegno della magistratura associata. La sua riforma della prescrizione non era sfuggita alle osservazioni non benevole di alcuni magistrati, ma il vertice dell’Anm aveva ufficialmente preso posizione in favore del ministro e della sua legge bandiera, la «spazzacorrotti».

Tanto che il 29 gennaio, lasciando via Arenula dopo un vertice sulla riforma del processo penale, presidente e segretario dell’Associazione nazionale magistrati avevano parlato di «incontro proficuo». Da ieri non è più così, e proprio per la legge delega con la quale la maggioranza vuole riformare il codice penale di rito: l’Anm ha annunciato che diserterà il confronto del prossimo 26 febbraio. Bonafede è ancora più solo.

I magistrati contestano due cose dell’ultimo e lungamente atteso progetto di riforma. La fissazione di una durata massima dei processi (cinque anni per i reati più gravi) e la diminuzione del tempo previsto per le indagini preliminari, accompagnata dalla previsione che in caso di sforamento eccessivo gli atti di indagine devono essere portati a conoscenza degli indagati.

Ma più di tutto le toghe associate contestano che queste novità siano accompagnate da sanzioni disciplinari quasi automatiche per i magistrati che non rispetteranno i tempi, «ingeneroso e immeritato messaggio di sfiducia nei confronti dei magistrati italiani che scarica sui singoli le inefficienze del sistema che sono invece esclusiva responsabilità della politica».

A spingere il vertice dell’Anm verso la linea dura, per la prima volta contro il ministro 5 Stelle, malgrado dal disegno di legge delega di riforma del processo penale siano rimasti fuori i due aspetti più controversi per le toghe, il nuovo Csm e il nodo magistrati in politica, è l’apertura della campagna elettorale interna. Tra il 22 e il 24 marzo, novemila magistrati andranno alle urne per scegliere il nuovo parlamentino dell’associazione, oggi guidata da una giunta non più unitaria.

Dopo il terremoto dell’inchiesta Palamara è infatti uscita dalla maggioranza la corrente di destra di Magistratura indipendente, coinvolta nello scandalo assieme ai centristi di Unicost che invece sono rimasti in giunta con la corrente di sinistra, Area, e la rampante Autonomia e indipendenza di Piercamillo Davigo.
Ieri intanto a maggioranza relativa e con la fiducia il senato ha approvato il decreto intercettazioni, senza il voto di Matteo Renzi ma con quello di quasi tutti gli altri rappresentanti di Italia viva.

La camera dovrà fare gli straordinari, a partire da domenica, visto che il decreto scade il 29 febbraio. «Votare questa fiducia al governo significa votare la fiducia al ministro della giustizia», ha detto il senatore Pietro Grasso di Leu rivolto a Renzi. «Niente affatto, aspetti e vedrà com’è fatta una mozione di sfiducia», ha risposto l’ex presidente del Consiglio, che però ha spostato molto avanti – a pasqua – il suo ultimatum sulla prescrizione.

Prescrizione che continua a dividerlo da 5 Stelle, Pd e Leu tanto che ieri Italia viva ha votato in materia alcuni ordini del giorno con il centrodestra. E’ avvenuto alla camera (sul decreto milleproroghe) dove l’opposizione continua a protestare per il modo in cui in commissione a stretta maggioranza è stata salvata la riforma Bonafede. Con una lettera al presidente Roberto Fico ieri ha chiesto di ripetere il voto.