La presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde ha lanciato ieri l’operazione promozionale di una revisione «strategica» della politica monetaria. Nel corso di una conferenza stampa a Francoforte ha enfatizzato il tema alla moda in questo momento: il «cambiamento climatico». «Dobbiamo combatterlo» ha aggiunto Lagarde facendo seguito alle intenzioni della Commissione Ue Von Der Leyen e dell’orientamento di BlackRock, il fondo di investimenti più grande al mondo. «Siamo al lavoro per capire il suo impatto sulla gestione dei rischi e accentuando l’enfasi sui requisiti di sostenibilità» perché il cambiamento climatico è considerato una minaccia alla stabilità finanziaria. La revisione della strategia potrebbe portare a modificare gli acquisti di «corporate bond». Il «Green» è un affare.

Dopo Mario Draghi il copione è lo stesso: «I paesi più indebitati» dell’eurozona (l’Italia, ad esempio) «devono perseguire politiche di bilancio prudenti» ha detto ieri la presidente della Bce in una conferenza stampa a Francoforte. La limitazione delle politiche di bilancio va accompagnata dall’intensificazione degli sforzi «per attuare le riforme strutturali necessarie per aumentare la produttività, il potenziale di crescita e ridurre la disoccupazione». Il contenuto di queste «riforme strutturali» non è mai del tutto chiaro, cambia in base all’occasione. Di solito significa intervenire sul lavoro o le pensioni. Rispetto al vangelo neoliberale queste ricette non funzionano più sia perché non hanno portato alla crescita, sia perché sono incapaci di rilanciarla.

Per Lagarde le prospettive di crescita «restano orientate al ribasso sebbene siano divenute lievemente meno pronunciate». Anche per questo la politica monetaria della Bce resterà accomodante a lungo per sostenere un’inflazione che non riesce a sfiorare il 2%. A dicembre è risalita all’1,3%, ma era legata all’aumento del petrolio. Cresce l’inflazione «core» all’1,4%, ma è ancora un livello troppo basso. Non crescono i salari, dilaga la precarietà, i consumi sono fermi, mentre non ci sono investimenti. Gli stati – indebitati o meno – sono bloccati nelle politiche di equilibrio di bilancio. Il corto-circuito è confermato dalle politiche monetarie che hanno complicato l’enigma.