E fu sera e fu mattino: terzo giorno. Perché il terzo giorno si vota di mattina e non è più un voto a perdere, un riempitivo dei lunghi pomeriggi di trattative che non decollano. Come da tradizione, il terzo scrutinio, l’ultimo dove per eleggere il presidente della Repubblica è richiesta una maggioranza molto alta, prepara il quarto, il primo dove “basta” la maggioranza assoluta dei grandi elettori. Il quarto nella storia è lo scrutinio che è servito ad eleggere il maggior numero di presidenti, quattro su dodici. Questa volta è più complicato ed è quasi impossibile che vada così. Forse andrà in buca la quinta votazione (sarebbe la prima volta), ma lo scrutinio di ieri è servito comunque a dare indicazioni importanti per la soluzione del rebus Quirinale. Innanzitutto ha seppellito il tentativo di Salvini di forzare sul nome della presidente del senato Casellati, contando sulla promessa di tradimento di Conte. Lo spoglio delle schede – schede rosa, ieri – lo ha mandato a sbattere.

Il capo leghista è uscito a pezzi dallo scrutinio non perché Casellati abbia preso uno e un solo voto – era comunque presto per lei – ma perché di voti ne ha presi tantissimi il nome di bandiera proposto da Giorgia Meloni: Guido Crosetto. La capa di Fratelli d’Italia con una mossa semplice ha messo nel sacco il suo irrequieto alleato, che è stato particolarmente ingenuo se è vero che la scelta di Fd’I di uscire dalla scheda bianca e contarsi è arrivata con una sorta di via libera tacito della Lega. Il risultato ha superato le migliori previsioni di Meloni, che pure sapeva che Crosetto ha molti amici ed estimatori. 114 voti per lui (e per lei) sono il doppio di quelli sui quali poteva contare sulla carta. Meloni in questo modo ha come trasportato i sondaggi – nei quali da mesi ha raggiunto o superato Salvini – dentro il corpo dei grandi elettori – dove invece è in minoranza nel centrodestra. Al leghista ha fatto capire: fai attenzione a come ti muovi, perché nel segreto dell’urna non controlli neanche i voti dei tuoi, figurarsi quelli della coalizione. Voti di centrodestra contro Salvini sono anche quelli per Giorgetti, ieri in crescita. Del resto, neanche Forza Italia, il partito al quale formalmente appartiene, è mai stata entusiasta di Casellati. Della quale si notano i comportamenti poco adeguati alla seconda carica dello Stato, come quando ieri invece di presiedere lo spoglio in aula accanto a Fico si è fatta vedere al telefono, presumibilmente alla ricerca di voti, nella sala del governo di Montecitorio.

Fine del sogno di Elisabetta Casellati, ma occhio anche a quello che è successo dall’altra parte. Dove i 5 Stelle hanno preso a votare in massa per Sergio Mattarella. Il presidente uscente, e secondo i suoi stessi desideri non rientrante, è passato dai 39 voti di martedì ai 125 di ieri. Questo però vuol dire poco per quanto riguarda la sua possibilità di essere rieletto, che non dipende dai voti (li avrebbe senz’altro) ma dalla disponibilità di tutti i partiti a chiedergli di restare. Che non c’è. Il boom di Mattarella nel terzo scrutinio dice però molto dell’impossibilità di controllare i grandi elettori 5 Stelle, che in gran numero hanno disertato l’indicazione di votare scheda bianca (ieri le schede bianche sono crollate, così come le nulle e i voti dispersi) esprimendo un voto che è stato come un grido di soccorso: manteniamo l’equilibrio, se si può. Un messaggio innanzitutto per Conte e la sua tentazione di sparigliare la coalizione. Con il rischio di far crollare la legislatura solo per intestarsi un ruolo. In pieno panico, non pochi 5 Stelle si sono anche spostati su Maddalena, il candidato degli ex grillini che ha visto così crescere i suoi voti fino a 61.

Nel frattempo i renziani hanno deciso di testare il loro candidato della prima ora, Pieferdinando Casini, iniziando a votare per lui. Mossa forse non azzeccatissima, perché Casini alla fine ha messo assieme appena i voti di Italia viva, una cinquantina. Dunque se un segnale voleva essere non è stato un segnale di travolgente popolarità. Casini compare ancora in tutti i rumors del palazzo, come se possa essere alla fine lui il candidato vincente, ma su di lui si raccolgono soprattutto bocciature, specie nel centrodestra. Dove i movimenti di Salvini creano una continua confusione.

Il capo leghista è stato effettivamente visto ieri pomeriggio all’indirizzo romano dell’ex giudice costituzionale Sabino Cassese. Ma non poteva non sapere che si tratterebbe di una candidatura non digeribile dai 5 Stelle e da Conte. A meno che l’incontro non sia stato solo una mossa preparatoria, per scongelare definitivamente la candidatura di un altro giurista, simile come profilo a quello di Cassese e adatto a firmare un armistizio con Draghi. Giuliano Amato.