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Gaza corre con Stefano Cucchi

Gaza corre con Stefano CucchiA destra Haitham Ghanem

Palestina «Essere incarcerati, subire abusi e violenze durante gli interrogatori fa parte della vita di tutti palestinesi. Ecco perchè ricordiamo Stefano», spiega Haitham Ghanem, promotore dell'iniziativa e ingegnere della ong "Sunshine4Palestine". Ieri in Cisgiordania altri due palestinesi uccisi dopo aver ferito tre israeliani. Un bimbo di otto mesi morto per i gas lacrimogeni

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 31 ottobre 2015
Michele GiorgioGERUSALEMME

Ricordare a Gaza con un raduno e una corsa un ragazzo ucciso sei anni fa nella lontana Italia mentre era detenuto, potrebbe apparire un po’ strano. Nella Striscia problemi certo non ne mancano e l’Intifada di Gerusalemme nei giorni scorsi ha visto una quindicina di giovani di Gaza cadere sotto il fuoco dei soldati durante le manifestazioni lungo le linee con Israele. Per Haitham Ghanem, promotore dell’iniziativa e ingegnere della ong “Sunshine4Palestine”, il legame tra Gaza e Stefano Cucchi è evidente. «Essere incarcerati, subire abusi e violenze durante gli interrogatori fa parte della vita di tutti palestinesi. Ecco perchè ricordiamo Stefano», ci spiega Ghanem che questa mattina alle 10 si riunirà con alcune decine di palestinesi per aderire alla maratona “Corri con Stefano” in programma a Roma e in altre città italiane ed europee. «Ci sentiamo vicini alla sorella di Stefano, Ilaria, e a tutta la famiglia Cucchi – aggiunge Ghanem – perchè da anni non smettono di chiedere la verità proprio come tante famiglie palestinesi lottano per avere giustizia per i loro cari rinchiusi nelle carceri israeliane». L’ingegnere di Gaza vorrebbe portare di persona, a Roma, la sua solidarietà e quella di tutta la Striscia alla famiglia Cucchi ma non può farlo. Come molte migliaia di palestinesi di Gaza non è in possesso di documenti riconosciuti da Israele (e dall’Egitto) e non può lasciare la sua terra.

 

Vite sotto occupazione che si trascinano da decenni. Anche queste storie spiegano la rabbia di tanti giovani in questo mese di “terza Intifada”, in cui sono stati uccisi almeno 67 palestinesi, molti dei quali colpiti, denunciano le autorità israeliane, dopo aver compiuto accoltellamenti e attacchi violenti. «Qualcuno la chiama Intifada di Gerusalemme, altri l’Intifada di Hebron la città ora al centro dello scontro, altri ancora esitano a definirla una Intifada. In ogni caso è l’Intifada dei giovani, dei ragazzi, di chi vuole la libertà e non vuole arrendersi, di chi non appartiene a partiti politici. Nessuno si lasci ingannare dal calo della rivolta registrato in questi ultimi giorni, riprenderà», prevede l’analista Hamada Jaber del Centro “Policy and Survey Research” di Ramallah.

 

A Hebron comunque la rivolta non accenna a placarsi. Anche ieri centinaia di giovani hanno manifestato a Bab Zawiye, sul confine tra la zona sotto il controllo dell’Anp di Abu Mazen e quella sotto l’autorità israeliana in cui poco meno di 700 coloni ebrei vivono insediati tra oltre 20 mila palestinesi. La tensione è alta in questa città seconda solo a Gerusalemme per importanza storica, politica e religiosa. Le proteste sono alimentate anche dalla decisione dell’esercito israeliano di non restituire i corpi di 13 palestinesi uccisi durante i tentati accoltellamenti (alcuni dei quali, denunciano con forza i palestinesi, non sarebbero mai avvenuti). Le autorità militari hanno annunciato la restituzione solo di cinque salme (Bayan al Esseily, 17 anni, Dania Irsheid, 17, Hussam al Jaabari, 17, Bashar al Jaabari, 15, e Tareq al-Natsheh, 16). Ieri altri due palestinesi sono stati uccisi dopo aver colpito ferito tre israeliani: al posto di blocco di Zaatara (a 10 km da Nablus) e a una fermata del tram a Gerusalemme. Un bimbo di otto mesi, Ramadan Thawabta, sarebbe morto a causa del gas lacrimogeno sparato da soldati a Beit Fajjar (Betlemme)

 

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