Nonostante sia impegnato sul fronte diplomatico e ministeriale, Luigi Di Maio, ha dovuto smentire le macchinose congetture circa una sua complicità di fatto con la sospensione della leadership e dello statuto del nuovo corso del Movimento 5 Stelle. Lo fa tto adoperando parole analoghe a quelle pronunciate da Roberto Fico. «Sono state giornate difficili, che però non devono né abbatterci né rallentare la nostra azione innovatrice – ha scritto domenica scorsa su Facebook – Azioni legali sono sempre legittime, ma di certo non possiamo farci scoraggiare. Il peso politico di un Movimento come il nostro deriva dal sostegno popolare, non dalle norme di uno statuto. Chi gioisce per il provvedimento del Tribunale Di Napoli non ha ancora capito questo concetto». Il ministro degli esteri invita a guardare al futuro prossimo: «Gli appuntamenti che ci aspettano sono molto importanti. Dobbiamo lavorare a questi obiettivi in maniera compatta, forti della pluralità di idee esistenti nel M5S e a sostegno del nuovo corso. A chi dice che siamo morti, rispondiamo dicendo di aggiungersi a chi lo ripete da 10 anni». Di Maio si riferisce al clima da campagna elettorale che, all’indomani della rielezione di Sergio Mattarella e nonostante i venti di guerra che spirino dall’est Europa, coinvolge gran parte delle forze della maggioranza. Tensioni che vengono esplicitate dal ministro dell’agricoltura Stefano Patuanelli, capodelegazione al governo e da sempre vicino a Conte. «Mi pare che la strategia sia ormai chiara: tutti contro il movimento – dice Patuanelli – Se è già iniziata la campagna elettorale, basta che ce lo dicano».

La decisione sul ricorso all’ordinanza cautelare del tribunale di Napoli potrebbe arrivare già nei prossimi giorni. Come è noto, il M5S ha deciso di puntare sull’annullamento ripescando una comunicazione via mail del novembre 2018 tra l’allora capo politico Di Maio e il presidente del comitato dei garanti Vito Crimi. Un’email che conterrebbe la scelta di adottare la regola sull’esclusione dal voto online degli iscritti da meno di sei mesi. Le possibilità che questo documento venga preso in considerazione dal giudice sono legate a una doppia condizione. Gli avvocati del M5S devono dimostrare che Conte non conosceva la regola del 2018 ma che al tempo stesso quella norma era notoriamente in corso di validità nel M5S. L’ex reggente a questo proposito ha accettato di fare il parafulmine, dicendo a Repubblica che l’ex presidente del consiglio non ne sapeva niente solo perché lui si era «dimenticato» di relazionare su una prassi nota a tutti. «Non glielo avevo detto», fa ammenda Crimi spiegando di aver dovuto «spulciare tra migliaia di mail» per ritrovare il «regolamento». Si tratta evidentemente di questioni tecniche. Che però rischiano di avere pesanti conseguenze politiche viste le acque agitate in cui naviga l’esecutivo Draghi e i mille comuni e 23 capoluoghi che andranno al voto nel mese di maggio.