Quando venni ad abitare in questa casa, circa 25 anni fa, uno dei motivi che mi spinse a sceglierla fu la vista di cinque bellissimi e altissimi pini le cui fronde sfioravano il mio balcone, poi negli anni cominciarono a tagliarne prima due perchè le radici rompevano l’asfalto, poi altri due perché le suddette radici rovinavano i pneumatici delle macchine che «dovevano» essere parcheggiate proprio lì, poi, quando vennero i giardinieri del comunne ad uccidere l’ultimo pino ed io cercai insieme ad un’altra simpatica signora del quartiere di oppormi, proprio fisicamente dico, abbracciando letteralmente con la mia complice il pino, fummo allontanate di peso dai vigili che ci dimostrarono carte alla mano, si fa per dire, che il suddetto pino sopravvissuto andava abbattuto perché pericolante e pericoloso per il convento di suore su cui minacciava di sfracellarsi. Niente da fare, niente più pini nella stradina solo macchine parcheggiate intorno all’aiuola- cimitero nella quale stazionano ancora dopo tutti questi anni, saranno ormai 7 o 8, i tronchi segati dei vecchi alberi che non sono mai stati espiantati. Era una stradina deliziosa ora è piena di macchine e solo due oleandri che sono miracolosamente spuntati dalle vecchie radici dei pini ci difendono dalla desolazione assoluta e nonostante siano anni, perché non mi voglio arrendere, che propongo agli abitanti di fare una qualche misera colletta per piantare almeno altri tre oleandri, vengo bloccata da un muro di gomma di disinteresse totale mascherato dal solito palleggio di responsabilità: non siamo noi a doverci pensare è il comune che deve intervenire etc etc. E il tempo passa e nulla accade.

Sconsolante! Eppure ho scoperto che ci sono anche qui da noi in Italia, anche a Roma e perfino in centro i «giardinieri sovversivi romani» e gli orti e i giardini spontanei che cominciano a nascere timidamente nei luoghi più inaspettati, sono ancora pochi, troppo pochi, ma si può sperare sull’onda lunga dell’informazione alternativa perché la parola d’ordine si diffonda e si allarghi «Piantiamo un seme nel cemento riappropriamoci delle nostre vite» o «sfoderate le vanghe lucidate i rastrelli» . Questi sono solo due dei molti slogan lanciati dai membri di guerrilla gardening per il Piantattack di inizio primavera che si è svolto dal 22 al 24 marzo di quest’anno. Ho scoperto un interessante sito che si chiama zappataromana in cui c’è la mappatura, continuamente aggiornata, di tutti gli orti e i giardini «spontanei» presenti in città: sono circa 100 gli spazi verdi condivisi a Roma: 51 giardini, 29 orti e 26 giardini spot più 65 siti spontanei individuali, fattorie urbane e case della partecipazione, dislocati dal centro alla periferia battezzati con nomi alternativi come: orto insorto (al Quadraro) o giardino dell’utopia (a monte dei cocci a Testaccio), poi c’è il giardino curdo dentro il cortile dell’università di lingue orientali all’Esquilino, il giardino Stefano Cucchi, l’orto del Sindaco (al campidoglio), e quello degli studenti di architettura a Valle Giulia i cui prodotti vengono usati alla mensa, c’è un orto al Mandrione e uno a Villa Pamphili e poi a S. Lorenzo e a Torpignattara e tanti altri. Certo ce ne vorrebbero molti di più ho però scoperto che a Monteverde dietro la stazione Quattro venti dove un tempo c’erano gli orti di guerra, piccoli appezzamenti dati alle famiglie numerose perché potessero integrare le misere tessere annonarie, un vecchio ex calzolaio ottantenne, da solo ha seminato un grande orto, di anno in anno si allarga sempre più, che presidia con costanza contadina da mane a sera, a cui ci si può rivolgere per utilissimi consigli.