Una donna con carriera di successo – bionda, elegante, sensuale, complicata, credibilmente a suo agio in un matrimonio intellettualmente stimolante e con un figlio che cresce circondato di affetto. È l’enigmatica protagonista di Anatomia di una caduta di Justine Triet, Palma d’oro a Cannes 2023, interpretata da Sandra Huller (quest’anno anche protagonista di Zone of Interest di Jonathan Glazer). Su questo quadro famigliare, così francesemente appagato, si apre però un’ombra.

Il film di Triet (già in concorso sulla Croisette nel 2019, con Sybil) appartiene alla vena di quel cinema d’autore europeo intellettuoso, ma deciso a «sporcarsi» con il genere (qui il thriller processuale), spesso di matrice scandinava, che infatti ha conquistato il presidente della giuria cannense Ruben Östlund. Sandra è una scrittrice affermata che vive in una baita isolata tra le nevi delle Alpi francesi, con il marito Samuel e il figlioletto Daniel. La incontriamo durante un’intervista con una giovane laureanda, nel cui palleggio verbale divertito – condito da un bicchiere di vino rosso a metà pomeriggio – aleggia il sapore di un flirt. Dal piano superiore, una musica sempre più assordante (non una colona sonora da idillio alpino: è P.I.M.P. del rapper 50 cents) impedisce progressivamente la conversazione tra le due, suggerendo che Samuel (scrittore anche lui, ma meno di successo della moglie) sta più o meno consciamente cercando di mettere fino all’incontro.

Più tardi lo stesso pomeriggio, Daniel – tornando da una passeggiata con il cane – trova davanti a casa il corpo di suo padre, apparentemente precipitato dalla finestra. Sandra non si è accorta di nulla perché, dice lei, stava dormendo. Ma è l’unica sospetta possibile e finisce sotto processo.

SEMPRE per la serie «le cose che non si fanno» (come il vino e il detour bisex, che emergerà in tribunale) assume come avvocato un amico che non vede da anni e con cui forse aveva avuto una storia. Progressivamente, Anatomia di una caduta (che è, allo stesso tempo l’anatomia di un crimine e l’anatomia di un matrimonio – Triet filma la sceneggiatura insieme a Arthur Harari, suo partner nella vita) si (co)stringe in un dramma processuale, che anche stilisticamente assume la forma del documentario, e in cui la ricostruzione finale degli eventi viene affidata al bambino debole di vista che deciderà per tutti, senza però che il film riveli niente. Una metafora non originalissima quella scelta da Triet, per un finale «aperto» in un film purtroppo molto deterministico.