È pronta la nuova legge elettorale anche se non c’è una data per le prossime parlamentari in Egitto. L’assemblea in realtà, dalle rivolte del 2011, non trova pace: è stata in un primo momento sciolta, nonostante il voto che aveva segnato la vittoria degli islamisti nel 2011; le elezioni parlamentari del 2013 sono state poi cancellate prima che venissero fissate; non si ha notizia invece del voto che potrebbe segnare il definitivo consolidamento politico del presidente Abdel Fattah al-Sisi, in contrasto con quanto previsto dalla tabella di marcia, approvata subito dopo il golpe.

Eppure i militari non sentono la mancanza del parlamento. L’ex generale è ormai abituato a governare con decreti presidenziali (con uno di questi ha deciso per esempio di smantellare l’intero villaggio di Rafah al confine con la Striscia di Gaza) e per andare avanti spavaldo sembra non aver bisogno né di un partito né di una parlamento.

La nuova legge elettorale recepisce di fatto questo stato di cose. E così il 60% dei seggi dovrebbero andare a candidati indipendenti: questa scelta aprirebbe la strada alla fine degli agonizzanti partiti politici, nati a decine dopo le rivolte del 2011, e darebbe il via libera al ritorno dei mubarakiani, gli uomini del Partito nazionale democratico dell’ex presidente Hosni Mubarak, assolto da ogni accusa lo scorso mese.

Figure come l’ex premier Gamal al-Ganzouri e l’ex diplomatico Amr Moussa stanno spolverando i loro abiti per ritornare nell’agone politico, nonostante l’età avanzata. Tuttavia, la norma potrebbe aprire la strada anche a un ritorno dei Fratelli musulmani che potrebbero far passare i loro candidati tra gli indipendenti.

Intanto, la repressione ha toccato ormai vette tali in Egitto per cui, dopo lo sconcertante caso della firma de Le monde diplomatique, Alain Greshe, l’analista statunitense del Carnegie Endowment for International Peace, Michele Dunne, critica verso il regime di al-Sisi, è stata bloccata da un funzionario della sicurezza dopo essere atterrata nella capitale egiziana. Dunne doveva partecipare a una conferenza dal titolo «Egitto e il mondo: una nuova era», organizzata dal Consiglio egiziano per gli Affari esteri. Alla fine dello scorso agosto, era stato rifiutato l’ingresso in Egitto anche a una delegazione di funzionari di Human Rights Watch, il think tank impegnato nella stesura di un rapporto sullo sgombero di Rabaa al Adaweya.

Infine, secondo il sito indipendente Mada Masr, i Fratelli musulmani hanno perso ormai il loro tradizionale controllo anche sui sindacati professionali. Dagli insegnanti ai farmacisti, sono centinaia le denunce di sindacalisti licenziati per la loro appartenenza alla Fratellanza. Dal giorno del golpe, si susseguono ingiunzioni di chiusure di scuole, ospedali e organizzazioni caritatevoli di proprietà del maggior gruppo di opposizione in Egitto.