Quando scrivo un racconto cerco di avvicinarmi il più possibile alla poesia … di grande aiuto quando si scrivono storie. Si impara molto su ritmo, suono, compressione e selezione. Non c’è spreco di parole»: così la statunitense Amy Hempel, che con le sue cinque raccolte di racconti, poco più di 500 pagine in tutto, ha lanciato l’ennesima sfida allo stile e alla lingua della short story, rinnovando un genere letterario che ha negli Stati Uniti una tradizione illustre, lunga oltre due secoli.

Dopo la riedizione nel 2018 di Ragioni per vivere, il volume mondadoriano che raccoglieva i primi quattro libri di Amy Hempel, l’editore milanese SEM pubblica ora anche i suoi nuovi racconti, Nessuno è come qualcun altro (bella e accurata traduzione di Silvia Pareschi, pp. 114, € 17,00) che, attesissimo dopo oltre dieci anni di silenzio, è uscito negli Stati Uniti qualche mese fa con il titolo Sing To It, e contiene 15 testi, tutti brevi, spesso di una o due pagine soltanto, eccetto l’ultimo che, invece, occupa quasi la metà del volume. Narrati da una voce femminile anonima, questi racconti mettono a fuoco un’esperienza o un fatto impresso nella memoria delle voci narranti.

Ingannarsi con la retorica
Nel primo racconto, che titola l’edizione inglese, in poco più di cento parole si esplicita quella che sembra la conclusione di un intenso scambio di battute fra un uomo morente e l’amica che gli è accanto. Ecco l’inizio: «Alla fine disse: niente metafore! Nulla è come qualcos’altro». Qualche riga più avanti lei gli fa eco: «Niente metafore! Nessuno è come qualcun altro», alludendo al vuoto che lascerà la sua scomparsa. I due continuano a ingannarsi usando la retorica e allorché l’uomo le chiede di fargli un’amaca con le mani, lei cita un proverbio arabo: «Quando il pericolo si avvicina, cantagli una canzone». Così, «alla fine», dice la donna chiudendo questo racconto epigrafico in cui la seduzione della lingua s’incontra con i traumi dell’esistenza, «gli feci un’amaca con le mani. Le mie braccia, gli alberi».

Procedendo per stacchi ellittici, anafore, richiami linguistici, associazioni di pensieri e immagini, Hempel invita a immaginare i sottintesi, le storie che hanno reso queste donne delle sopravvissute, riemerse alla vita con i loro vuoti da colmare. L’eleganza della prosa genera di per sé sensazioni e atmosfere in cui i personaggi si muovono, evanescenti, in ambienti che sono spesso case in affitto, lontane da dove si è svolta la loro vita precedente, oppure luoghi dove riscattano la solitudine.

Usciti dalla vita
In «Un rifugio con tutti i servizi», la narratrice è assistente volontaria in un canile per cani destinati a essere uccisi, se non adottati. Ripetendo ossessivamente lo stesso incipit («Mi conoscevano come quella che» oppure «Ci conoscevano come quelle che») descrive se stessa e le altre che lavorano insieme a lei dalla prospettiva di chi le vede muoversi soltanto in quello spazio: è una donna che sottrae alla morte pitbull e cuccioli di ogni razza cercando affetto fra animali soli quanto lei.

Molte sono le coppie protagoniste di queste storie – coppie in crisi o ormai uscite dalla vita, come gli anziani protagonisti di «Fort Bedd», chiusi nella camera da letto che il marito tiene sempre al buio mentre la moglie sogna ancora un futuro, immaginando di poter scappare dalla loro prigione, piantare un albero, farlo crescere e arginare quella deriva. Qui come altrove, non poche frasi hanno la fisionomia dei versi, anche grazie alla loro posizione in chiusura del racconto per riassumere metaforicamente il senso delle storie o la vita dei personaggi.

Allieva di Gordon Lish
Come è stato scritto, il procedere misterioso e affascinante della prosa di Hempel è facile da leggere, ma difficile da comprendere. «Mi piace l’idea di comprimere una storia in una frase», ha detto, alludendo alla tecnica che deve aver appreso da Gordon Lish, l’editor di Raymond Carver incontrato alla Columbia University quando dalla nativa Chicago vi si trasferì per completare gli studi. Sotto la sua guida scrisse il primo e il più antologizzato dei suoi racconti, «Nel cimitero dov’è sepolto Al Jolson», diventando in breve, via via che procedeva alla ricerca della parola essenziale, una scrittrice sui generis, affidata alla evocatività delle singole frasi, una per una, e al modo in cui si assemblano sulla pagina, nel ritmo che rimanda l’ordine delle parole. In «Arcobaleno lunare», una surreale scena notturna incornicia l’io narrante insieme a un orso nel raggio di luna entro il quale formano il loro intreccio di enigmatiche corrispondenze.

Come nei precedenti libri, anche in Nessuno è come qualcun altro la morte è particolarmente presente, con la differenza che qui i protagonisti sono più maturi e consapevoli nel loro vivere una seconda vita dopo averne già vissuta una che vorrebbero in qualche modo archiviare. Questo accade in «Cloudland», il lungo racconto che chiude il libro. «Ricordo di aver pensato: non ci sarà mai un momento in cui non ci penso», dice in apertura la voce narrante alludendo alla figlia data in adozione quando a 18 anni aveva partorito in una clinica per ragazze madri del Maine; la figlia mai vista è un’ombra che la segue e la tormenta, che immagina accanto a sé in macchina o fra le bambine che incrocia via via, con il passare degli anni. Basandosi su un’inchiesta giornalistica che rese noti i loschi traffici di una struttura in Nova Scotia, dove i neonati non adottabili venivano eliminati, la narratrice si muove fra il suo inquietante passato e il presente in Florida dove fa l’assistente a domicilio di anziani dopo aver perso il lavoro in una scuola di New York. Quando viene a sapere la verità sulla clinica, questa «persona che non riconosce il pericolo» rivela tutta la fragilità della nuova vita a cui si è adattata. Poi la prospettiva si dilata e fa entrare in scena il tema ecologico caro a Hempel, che introduce gli effetti del cambiamento climatico. Lo annunciano i cartelli per la vendita delle case intorno alla sua, che potrebbero presto finire sott’acqua, mentre la comunità di anziani un po’ bizzarri, negazionisti e non, che la tengono in tensione e si stagliano tratteggiati abilmente come in una pièce teatrale un po’ buffa.

La tecnica del long poem
Benché lungo, questo racconto resta fedele allo stile di Amy Hempel, accostando frammenti di pensieri, ricordi e riflessioni con apparente casualità, in una lingua polisemica infarcita di colloquialismi e cultura pop. Del resto, se per la scrittrice il modello è la poesia, il suo montaggio di singole parti ricorda la tecnica del long poem, la forma tipica della poesia americana capace di contenere storie e rimandare un tutt’uno dinamico e ritmico. La maniera sempre più complessa e ellittica di comporre segna la differenza fra il nuovo libro e le precedenti raccolte: ora sembrano lontane le dichiarazioni meta-letterarie che prima alludevano alla sua maniera ‘poetica’ di scrivere. «Voglio un lessico ricercato nel resoconto, e lo voglio succoso. Voglio l’alone di una realtà inesprimibile…e tuttavia lirica», dice, ad esempio, la voce maschile in «Offertorio», il testo che chiude la riedizione italiana di Ragioni per vivere, esortando la narratrice a inventarsi l’ennesima storia come parte di un loro gioco erotico. Ora i personaggi di Hempel vivono il tempo della «resilienza» e il nuovo libro offre l’occasione per tornare a leggere i racconti passati ripercorrendo l’evoluzione di una grande scrittrice che in poco più di 500 pagine ha racchiuso un mondo e rinnovato la short story e la sua forma.