L’amore è lotta. L’amore è scommessa. L’amore è completamento. L’amore è eternità. L’amore è abbandono. L’amore è oblio. L’amore è desiderio. L’amore è dedizione. L’amore è sacrificio. L’amore è sesso. L’amore è felicità. L’amore è ricerca. L’amore è possesso. L’amore è cura. L’amore è riproduzione. L’amore è intensità del presente. Si è scelta la definizione più convincente e appagante? Bene! Si raccolgano tutti questi luoghi comuni sull’amore e si ripongano in qualche vasetto per la conserva. Torneranno utili dopo. Ma quando?

È ciò che ancora si chiedono, vivi o morti che siano, i personaggi degli Amori sospesi (Einaudi, pp. 336, € 20,00), l’ultima sorprendente raccolta di racconti di Alberto Asor Rosa. Si è soliti dividere gli amori tra fortunati e sfortunati, cioè tra storie liete e tragiche. Si è anche abituati ad amori opachi e trasandati, per i quali la fine non conta. Ma in questo caso si può quasi avere l’intuizione di trovarsi di fronte a una nuova galleria di casi, a un’inusitata serie tematica di amori che, in un modo o nell’altro, restano intrinsecamente inconclusi o inconcludenti. A volte inappagati, a volte inappaganti.

C’è lo studioso che si annichilisce durante un amplesso. Il commesso che, a distanza di decenni, rincontra l’antica cliente che gli fece girare la testa, ora imbolsita, spoglia di ogni avvenenza e comunque eternamente indifferente. Lo scolaro che, dopo tanti sforzi interiori per vincere la timidezza, cade vittima di un dannato trasferimento familiare della fanciulla desiderata. Il professore mai dardeggiato da Cupido, che solo troppo tardi scopre l’amore in una sua giovane allieva. L’assicuratore che repentinamente, già anziano, torna bambino per riacciuffare l’amore materno. Il camionista che perde la giovane amante nel momento in cui la possiede completamente. La nonna che, finalmente vedova, si riappropria del ricordo represso di un innamoramento fulminante e senza seguito. Il vecchio solitario e misterioso che rifiuta la ragazza che a lui si offre. L’avvocato vittima della sua incapacità di amare.

Come si vede è una insolita galleria di personaggi in sospensione emotiva, colti in un tratto eccezionale della vita (eccezionalità che spesso scorre parallela alle loro vite più concrete e realizzate) e travolti dal fascino che solo le cose irrisolte riescono a comunicare e a donare. A sostenere l’apnea, le vane attese, e forse anche i fallimenti di ciascuno c’è l’occhio benevolo del narratore. Che certo non risparmia di sottolineare l’irrefrenabile attitudine alla mediocrità dei suoi personaggi, catturati dall’umorismo ma anche involontariamente comici.

Goffi e impacciati, quasi sempre, divorati da paure ancestrali che da soli non riescono a far emergere, schiacciati dal loro destino, sembrano portatori di un realismo sommesso, sembrano attori di banalità esistenziali da cui il senso comune spesso si difende semplicemente ignorandole. Li vediamo precipitare in una così sconfinata solitudine che essere testimoni delle loro avventure quasi è una missione di soccorso. Una certa crudezza dello sguardo non sta nei toni.
La scrittura scivola via, puntuale, varia nel lessico, piacevolmente allusiva, spesso in dialogo aperto con il lettore, mai lasciato solo né provocato, e gli aspetti più irritanti delle azioni maldestre dei personaggi rimangono come ovattati da un affetto discreto. La crudezza sta invece nella sostanza tragicomica di ciascuna figura. Sta nella domanda che infine affiora alle labbra: possibile mai che nessuno si sottragga al ridicolo dell’amore che trascina a un grado irreversibile di solitudine? Nessuno lo sa con certezza.