Nella prefazione all’edizione ristampata nel 2005, Amos Vogel scriveva che nonostante i cambiamenti avvenuti nel mondo dall’anno della prima pubblicazione, come la fine dell’Unione Sovietica o il dissolvimento della Jugoslavia, non trovava alcun motivo «per modificare o cambiare le tesi e le strutture messe a punto nell’originale». E a ragione, visto che il suo Film as a Subversive Art, uscito nel 1974, è diventato (e lo è tuttora) un testo formativo indispensabile per generazioni di studiosi, programmatori (o aspiranti tali), fabbricanti di festival, storici, curatori di cinema, e anzi i neomoralismi e gli algoritmi del «contenuto» che imperversano non solo nell’industria lo rendono sempre più attuale.

IL SUO AUTORE che Herzog definiva «la coscienza morale del cinema» è morto nel 2012 a New York, era nato a Vienna ma l’America è dove è sempre stato dopo la fuga dall’invasione nazista insieme alla famiglia, e a New York fonderà il suo cineclub, Cinema 16, in cui programma per primo i film di Resnais, Rivette, Oshima e di Maya Deren, Bruce Conner o Stan Brakhage .
Cosa è dunque l’«Arte sovversiva» a cui si riferisce Vogel? «Ogni opera d’arte, purché originale e volta a rompere con il passato anziché ripeterlo, è sovversiva» scrive. E ancora: «L’ arte non potrà mai prendere il posto dell’azione sociale … ma il suo compito rimane sempre lo stesso: cambiare la coscienza. Quando ciò accade, anche se soltanto con un singolo essere umano, si tratta di un risultato talmente importante da fornire sia giustificazione che spiegazione all’arte sovversiva». Che scopriamo nelle sue pagine tra le avanguardie sovietiche, l’espressionismo, il surrealismo, Warhol, Duras, Antonioni, Prima della rivoluzione e Janczo, le immagini che fanno vacillare i tabù visivi, il corpo, le mestruazioni, il gender: un’altra storia del cinema, forse quella appunto che oggi si dovrebbe studiare con molta attenzione.

IN OCCASIONE del centenario della nascita di Vogel, il festival spagnolo di Navarra Punto de Vista – che si è chiuso la scorsa settimana – ha presentato un omaggio al sovversivo Vogel curato da Alex Horwath, direttore in passato della Viennale e a lungo alla guida del Filmmuseum di Vienna, e da Regina Schlagnitweit, Un evento importante anche perché accaduto in un contesto che a sua volta appare quasi come una sovversione, almeno rispetto le decisioni di politica culturale applicate in questo lungo anno di pandemia dalla maggior parte dei governi: il festival infatti si è svolto in presenza, la Spagna ha scelto di lasciare quasi sempre aperti i luoghi culturali, cinema e teatri supportandoli economicamente per questo.
Sei i capitoli coi quali il magnifico Amos in Wonderland – questo il titolo dell’omaggio – esplora l’universo di Vogel costruendo nuove corrispondenze – «Volevamo evocare alcune sfumature dell’attività di Amos seguendo il suo esempio: seleziona il meglio e evitare il burocratismo» dicono i curatori.

ECCOCI così agli inizi della sua avventura, New Home è un viaggio (per immagini) a New York, la sua nuova casa, introdotto da frammenti di un’ intervista allo stesso Vogel con Paul Cronin (2003), in cui ricorda il viaggio d’esilio. Il programma raccoglie film come In the Streets (1944-1948) di Helen Levitt, James Agee, Janice Loeb, la vita quotidiana nelle strade di Harlem, bambini, anziani, cani, gatti, gli idranti, la gente che lavora, un racconto di quella che per Vogel è divenuta la «terra promessa». E poi il suo unico film come montatore, Weegee’s New York (1946-1951) ma anche Operation Jane Walk di Leonhard Müllner, Robin Klengel (2017) che suggerisce una militarizzazione della metropoli.

SECRETS and Revelations: a musical è la fascinazione per il mistero, l’irrazionale – vi troviamo anche La Taranta di Gianfranco Mingozzi (1952) o Rabbit of Seville diChuck Jones (1950). Mentre le rivoluzioni degli anni Sessanta e le rotture estetiche che producono – così importanti nel libro – rivendicano la libertà dalle forme narrative dominanti: è PlayGround che presenta tra gli altri,6/64 Mama und Papa di Kurt Kren (1964) e Yippie, un film collettivo realizzato durante la Convention democratica Usa del ’68.