Nel 2019, poco tempo dopo aver scoperto il jazz, ha vinto la Sarah Vaughan International Jazz Vocal Competition: ed è iniziata la coazione al paragone con le grandi cantanti di un’altra epoca. In ogni caso, se c’è una cosa in cui di sicuro Samara Joy non assomiglia a Sarah Vaughan è la tranquillità: carattere apparentemente forte, la Vaughan quando doveva esibirsi o incidere era tormentata da una patologica insicurezza. Samara Joy con ogni evidenza non soffre di problemi del genere. Sa bene che il New Morning, con la sua aria da night demodé, non è una tappa qualsiasi, è un tempio parigino della musica in cui da quarant’anni è passato fior di jazz, black music, world music, canzone francese, (trent’anni fa per esempio Cesaria Evora): ma, circondata dagli spettatori accalcati intorno al piccolo palco del locale, appare del tutto a suo agio.

SORRIDENTE, si rivolge al pubblico con spontaneità, con una comunicativa in cui a ventiquattro anni c’è ancora una freschezza tutta adolescenziale. Di ritorno in Europa per date a Parigi e Londra, è avvolta dall’aura della «rising star», corroborata adesso dall’approdo alla Verve per il suo secondo album personale, Linger Awhile (ne ha scritto su queste colonne Stefano Crippa in settembre), ma non si atteggia affatto a diva. Non c’è nessuna affettazione quando dice di essere felice di trovarsi a Parigi: per l’occasione ha imparato le parole di April in Paris anche in francese, e le canta con una dizione del tutto plausibile.Nella Joy c’è una certa asciuttezza che non va a scapito della sensibilità e che le dà un profilo più contemporaneo.

In due generosi set, in cui, accompagnata da un trio europeo, entra ed esce dal nuovo album, Sarah Vaughan naturalmente c’è: con Can’t Get Out of This Mood, inciso da Sarah nel ’50, e con lo stesso Linger Awhile, da cui prendeva il titolo un album del ’56 della Divina. Ma la pronuncia, il modo di porgere, non sono gli stessi: e meno male, perché Samara Joy ha una sua personalità, sta cercando una sua strada, e anche perché il gusto interpretativo è cambiato, nella Joy c’è una certa asciuttezza che non va a scapito della sensibilità e che le dà un profilo più contemporaneo. Nomina più volte Carmen McRae, e interpreta in maniera molto intensa – e del resto diversissima da McRae che la incise nel ’57 – Guess Who I Saw Today: e il « saw you» finale è tutto suo, pronunciato con un filo di voce, come se la scoperta dell’infedeltà avesse lasciato senza fiato la protagonista della canzone.

DÀ IL MEGLIO nel registro medio e grave, mentre c’è forse qualche limite di agilità e brillantezza nell’acuto. In scaletta anche Betty Carter (Tight), ed è significativo che la Joy guardi anche alla Abbey Lincoln fresca della partecipazione alla epocale Freedom Now Suite di Roach interpretando – in maniera più fluida dell’originale, ma con alcune inflessioni proprio della Lincoln – Retribution, di cui la Lincoln aveva scritto i versi non concilianti. Lei intanto ha scritto delle parole per Nostalgia di Fats Navarro: un buon inizio.