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Amnesty accusa: ai rom vietate le case popolari

Amnesty accusa: ai rom vietate le case popolariRoma 20 Giugno 2012 Il campo rom attrezzato di Tor de Cenci in cui vivono più di 400 persone, in maggioranza bosniache e macedoni. Il campo rom dovrebbe essere sgomberato e i rom trasferiti in altri campi,i nomadi del campo si oppongono a futuri traslochi.

Diritti L’associazione: «A Roma sono discriminati e costretti a vivere nei campi»

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 31 ottobre 2013

Discriminati nell’assegnazione di una casa popolare perché rom. Accade un po’ in tutta Italia, ma in modo particolare a Roma dove una circolare della passata amministrazione Alemanno ancora oggi nega alle famiglie di etnia rom la possibilità di accedere alle graduatorie per l’assegnazione di un alloggio pubblico, costringendole così a vivere confinate in campi spesso fatiscenti e isolati.
La denuncia arriva da Amnesty international che sulla condizione abitativa dei rom ha preparato un rapporto significativamente intitolato «Due pesi e due misure. Le politiche abitative dell’Italia discriminano i rom». «Il comune di Roma sta tenendo migliaia di rom ai margini della società», spiega John Dalhuisen, direttore del Programma Europa e Asia centrale di Amnesty. «Ciò avviene con la tacita complicità del governo italiano che a livello nazionale non sta garantendo uguale accesso agli alloggi pubblici per tutti».
Sono 4.000 i rom che nella capitale vivono in campi autorizzati. E non certo per loro volontà. Aldilà dei luoghi comuni che li vorrebbero restii ad abbandonare baracche e roulotte, alla stragrande maggioranza di loro non dispiacerebbe affatto vivere in una casa come tutti, permettendo ai loro bambini di frequentare una scuola. «Etichettati come ’nomadi’ dalle autorità, sono collocati in questo sistema alloggiativo separato, pensato unicamente per loro», denuncia il rapporto. E che siano gli unici a essere trattati così non ci sono dubbi. Chiunque altro si trovi a non avere un tetto sopra la testa, infatti, sia italiano che immigrato, può contare sulla possibilità di essere ospitato in un dormitorio o in un centro di accoglienza gestito dal Comune. Tutti tranne i rom. «Un container prefabbricato o una roulotte all’interno di un campo segregato, circondato da recinzioni, lontano dai quartieri abitati e dai servizi essenziali è l’unica opzione abitativa messa a loro disposizione», dice ancora Amnesty.
Una sorta di apartheid, anche se mai nessuno l’ha dichiarato ufficialmente. O quasi. Vivere in una città per un rom non è mai stato facile, ma nella capitale le cose sono cominciate a peggiorare nel 2008, quando sempre la giunta del sindaco Gianni Alemanno decise di affrontate «l’emergenza rom» soprattutto sotto i profilo dell’ordine pubblico. Seguirono una serie di sgomberi dei campi abusivi e il trasferimento forzato di circa mille rom, quasi tutte famiglie con bambini al seguito. Del tutto inutili le domande presentate da alcuni di loro per avere un alloggio popolare. Negli ultimi 13 anni il Campidoglio ha pubblicato due bandi generali per l’assegnazione di case popolari, nel 2000, la cui graduatoria si è chiusa nel dicembre del 2009, e uno più recente che si è aperto a dicembre del 2012. Nel 2.000 si decise di privilegiare le famiglie che avevano subito uno sfratto. Scelta giusta, ma che di fatto tagliò fuori i rom visto che gli sgomberi forzati non venivano considerati equivalenti a uno sfratto. Il bando di dicembre del 2012 sembrò invece aprire una possibilità. Tra i criteri fissati questa volta si è deciso infatti di dare la priorità alle famiglie in grave disagio abitativo e non solo agli sfrattati. «Decine di famiglie rom residenti nei campi hanno presentato domanda di alloggio. Per molte di loro questa era la seconda o terza volta», prosegue sempre Amnesty.
L’illusione però è durata poco. Il 18 gennaio del 2013 il dipartimento politiche abitative pubblica una circolare in cui si precisa che le case saranno assegnate a turno a coloro che si trovano in testa alla vecchia graduatoria, ancora un vigore, e a quella nuova. Specificando perdipiù che i campi nomadi non possono considerarsi come una situazione di grave disagio abitativo (come dormitori, centri di raccolta ecc.) in quanto strutture permanenti. E il 30 gennaio di quest’anno l’allora vicesindaco Sveva Belviso precisa: «Per sgomberare il campo da equivoci, mi vedo costretta a dover ribadire e sottolineare che questa amministrazione, fin dall’inizio del suo mandato e ancora oggi, non ha previsto alcuna corsia preferenziale o accesso diretto alla casa per i cittadini rom».
La speranza è che ora la nuova amministrazione guidata dal sindaco Ignazio Marino cambi indirizzo. Le premesse perché ciò avvenga ci sono: a settembre l’assessore alle politiche sociali Rita Cutini ha promesso di voler integrare i rom puntando soprattutto su quattro fronti: istruzione, casa, lavoro e salute. Un buon inizio. Peccato però, denuncia sempre Amnesty, che intanto anche la giunta di centrosinistra continui con gli sgomberi forzati dei campi.

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