Lo sappiamo, chi disegna e vende abiti, a ogni stagione deve solleticare la vanità e la voglia di cambiare per aumentare il cambio guardaroba e il fatturato. È l’impietosa legge del mercato. Ma quello che ha detto ieri Miuccia Prada nell’intervista concessa a «Repubblica» per illustrare lo spirito con cui ha disegnato la collezione cruise (crociera) 2018, va oltre i limiti che si è disposti a concedere alle regole del marketing. Oserei dire che è un monumento all’opportunismo. Cito le parole di Miuccia Prada: «Oggi la nudità non è consentita. Viviamo in un mondo in cui convivono culture, religioni e sensibilità diverse. Che vanno rispettate con abiti pudichi e fasce-censura».

La linea estetica della collezione cruise Prada è la seguente: abiti al ginocchio in tulle trasparente color pastello che assomigliano a sottovesti, all’altezza di seno e/o bacino vi sono spesse fasce nere che fanno pensare ai pecettoni neri, quelli tanto cari alla censura per proteggere i giovani e i bacchettoni dalla visione di parti intime e da pensieri peccaminosi. In realtà, nulla di quegli abiti è davvero da educande, anzi. Con tutte quelle trasparenze, le braccia nude, i calzettoni bianchi infilati nei tacchi alti, la collezione strizza abbondantemente l’occhio alla seduzione, perché tutti sappiamo che il vedo-non vedo e le allusioni baby sono molto più erotizzanti del nudo completo.

Fin qui nulla di strano, anche perché riteniamo che ognuna debba essere libera di vestirsi come e quanto le piace. Sarà poi chi guarda a decidere se interessarsi o girarsi dall’altra parte. Il punto è un altro. Spacciare questa scelta come rispetto per religioni e culture diverse ha davvero dell’incredibile. La prima obiezione che viene in mente è: quale donna che vive in un paese musulmano potrebbe mai andare in giro vestita così senza rischiare l’arresto, per non dire di peggio? Se mai in Arabia Saudita o Qatar, per citare due esempi, le donne volessero indossare pezzi simili, potrebbero farlo solo in privato con il marito o sotto il chador che, essendo obbligatorio in pubblico, è una vera e propria oppressione. Di conseguenza, questi abiti non rendono affatto più libere le donne che vivono in certi Paesi. Allora a chi porta rispetto Miuccia Prada? Alle americane e cinesi che, come dice lei, non possono svelare il seno? E concretizza questo rispetto con delle fasce-censura? Davvero possiamo pensare di spacciare il senso del pudore con l’ammiccamento ai censori? Il controllo e il divieto di parola, di espressione, di esibizione di pensiero e corpo è, ed è stata, una delle pratiche più odiose e repressive delle dittature. Rendervi omaggio per farsi notare e vendere più abiti è davvero intollerabile.

Qui non si tratta di proteggere la sensibilità di alcuni, ma si va a braccetto con chi considera sconcia la libertà di scelta. Le donne hanno fatto battaglie epiche contro quella mentalità. Per vivere liberamente il proprio corpo e i desideri, le donne hanno protestato, manifestato, sfidato le leggi, si sono fatte arrestare, hanno aperto conflitti per oltre un secolo. Se oggi possiamo andare vestite come ci pare e piace, comprese le ammiccanti collezioni di Prada, lo si deve proprio a quelle lotte portate avanti dalle nostre nonne, madri e da noi con il femminismo. Miuccia Prada lo sa benissimo visto che, sempre nell’intervista, dice: «Certo, c’è meno libertà di un tempo. Negli anni Sessanta e Settanta le donne, io compresa, potevano permettersi di andare in giro più nude». Lei si adegua. A noi viene voglia di ripescare dall’armadio le camicette nude-look, altro che pecette sulle tette.

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