In più di otto anni passati al Quirinale il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rinviato una legge alle Camere una sola volta. Lo fece il 27 ottobre 2017 a causa di una norma sulle mine anti-uomo. Durante il suo mandato sono state numerose le volte in cui ha scelto di accompagnare la promulgazione di legge o l’emanazione di decreti legge con lettere ai presidenti del Consiglio, della Camera e del Senato. L’ultima occasione è stata quella delle legge annuale sul mercato e sulla concorrenza del 2022, firmata il 30 dicembre scorso.

IL QUIRINALE ieri ha diffuso il testo di una lettera dove come nei casi precedenti, Mattarella ha evidenziato la necessità di promulgare la legge in questione, legata a uno dei «traguardi» del «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr) da raggiungere entro il quarto trimestre del 2023. Allo stesso tempo Mattarella ha evidenziato le sue «perplessità» a proposito dell’articolo 11 della stessa legge che contiene l’«eccessiva e sproporzionata» proroga di 12 anni per l’«assegnazione delle concessioni per il commercio su aree pubbliche», cioè le piccole e piccolissime imprese «ambulanti». Tale proroga contrasta con la direttiva Bolkestein (123 del 2006, dal nome del commissario europeo per il mercato interno della Commissione Prodi) ed è «incompatibile» con i principi ribaditi dalla Corte di Giustizia, dalla Corte costituzionale, dalla giurisprudenza amministrativa e dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato sull’«apertura al mercato dei servizi», cioè con la «concorrenza». La situazione oggi è tale da rendere, a parere di Mattarella, «indispensabili ulteriori iniziative di governo e parlamento».

LA LETTERA DEL PRESIDENTE ha messo il dito su un interesse elettorale molto sentito da parte di tutti i partiti delle destre al punto da averli spinti a candidare nel corso del tempo alcuni esponenti più influenti e discussi del commercio ambulante. Ieri la Lega ha risposto alla critica di Mattarella in modo non troppo conciliante. Per il partito di Salvini i commercianti ambulanti rappresentano il «lavoro e i sacrifici fatti da migliaia di italiani svenduti in nome dell’Europa». Ad avviso di Maurizio Gasparri, presidente dei senatori di Forza Italia, la concorrenza nel loro settore è messa a rischio «da Amazon non dalle bancarelle», quelle che dovrebbero passare dalle gare sugli spazi occupati sul suolo pubblico. In vista delle scadenze elettorali europee queste posizionano rafforzano una critica nazionalista e corporativa dell’economia e delle «liberalizzazioni». Quanto alle opposizioni sembra prevalere un’idea acritica del problema: +Europa chiede le gare, per Boccia (Pd) «l’assenza di concorrenza nei servizi pubblici è penalizzante».

SUI BALNEARI e la liberalizzazione delle concessioni la battaglia è ugualmente sentita a destra. Il 24 febbraio scorso, quando promulgò la legge di conversione del decreto mille-proroghe del 2022, Mattarella ha chiesto di affrontare il problema della proroga delle concessioni demaniali marittime chiesta dalla cosiddetta «lobby dei balneari». La questione è stata richiamata ieri nella lettera. La difesa degli interessi di questa potente corporazione è stata una spina nel fianco di molti governi. Da quando alcuni dei loro esponenti sono andati al governo con Meloni è diventata una priorità. Angelo Bonelli dell’Alleanza Verdi-Sinistra ha ricordato uno dei casi più noti: «A fronte di canoni di concessione ridicoli, i balneari realizzano incassi milionari, come dimostra il caso della ministra Santanchè e del suo Twiga, che, nonostante un fatturato di quasi 10 milioni di euro, paga un canone annuo di soli 18 mila euro». In Italia ci sono 12.166 concessioni balneari. Le tasse ottenute dallo Stato sono solo 103,9 milioni di euro.

IL GOVERNO ha fatto i numeri in questi mesi a dispetto dei messaggi di richiamo giunti da Mattarella. Ad esempio, per dimostrare che non esiste scarsità di risorse naturali (e quindi che non vi sia l’obbligo di gara), ha affidato una mappatura del litorale e del demanio costiero-marino ad un tavolo interministeriale dove sono intervenuti i rappresentanti dei balneari. Solo il 33% del litorale sarebbe occupato da concessioni.

LA REALTÀ è un’altra: secondo il Ministero delle Infrastrutture quasi il 50% delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari. Per gli ambientalisti c’è il rischio di mandare a gara gli ultimi tratti di spiagge e coste liberi. È da un quindicennio che si resta sospesi tra la spinta alla liberalizzazione e la difesa delle rendite. L’altra via, quella dei beni comuni, non è pervenuta.