È ripartito ieri dall’udienza preliminare il processo sul presunto disastro ambientale provocato dall’Ilva di Taranto, denominato «Ambiente Svenduto». Si è ripartiti con la requisitoria dei pm dopo che la Corte d’assise di Taranto, il 9 dicembre scorso, aveva annullato il decreto che disponeva il rinvio a giudizio in quanto nel verbale d’udienza preliminare del 23 luglio scorso mancava l’indicazione delle generalità del difensore d’ufficio per 10 imputati i cui legali erano assenti quel giorno. Sarà ora il gup Anna De Simone a doversi pronunciare sulle richieste di rinvio a giudizio.

L’udienza riguarda 44 persone fisiche e tre società (Ilva spa, Riva Fire e Riva Forni elettrici). Salvi, perlomeno, tutti gli atti precedenti all’udienza del 23 luglio, un migliaio le parti civili. Tra gli imputati eccellenti figurano Fabio e Nicola Riva (il primo l’unico tra gli imputati al momento in carcere) proprietari dell’Ilva, l’ex presidente dell’azienda Bruno Ferrante, l’ex governatore della regione Puglia, Nichi Vendola, l’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, l’attuale sindaco del capoluogo ionico, Ezio Stefàno, l’ex responsabile Rapporti istituzionali Ilva, Girolamo Archinà, funzionari ministeriali e regionali ed ex dirigenti dell’Ilva. Al termine della requisitoria, la procura di Taranto ha reiterato la richiesta di rinvio a giudizio per tutti gli imputati. Dopo il rigetto da parte del gup di alcune eccezioni di nullità sollevate dalla difesa degli imputati, i pm si sono riportati alle conclusioni della requisitoria della precedente udienza preliminare. Poi l’avvocato Sergio Torsella, a nome delle parti civili, ha chiesto ugualmente il rinvio a giudizio degli imputati. La discussione dei difensori è stata fissata per le prossime sette udienza dal 10 al 25 febbraio.

Intanto, proprio mentre a Taranto era in corso il dibattimento sull’Ilva, si apprendeva del doppio ricorso al Tar del Lazio della Riva Fire posta in liquidazione dal febbraio del 2015, contro Ministero dello sviluppo economico, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell’ambiente, oltre che dei tre commissari straordinari dell’azienda (Piero Gnudi, Enrico Laghi, Corrado Carruba) e dell’Ilva in amministrazione straordinaria, per l’annullamento del decreto di vendita e cessione parziali degli assett produttivi del siderurgico tarantino e del programma di cessione predisposto dai commissari. Nel documento di 43 pagine viene contestato l’ultimo decreto di vendita approvato dal governo, giudicato «illegittimo» e «viziato per eccesso di potere». Questo in quanto l’atto di vendita è stato presentato da tre commissari che non sono titolari dell’impresa Ilva (le cui azioni, all’87%, sono di fatto ancora del gruppo Riva) e che hanno come unico incarico quello di applicare le prescrizioni del Piano ambientale per il risanamento degli impianti dell’azienda. Piano che i legali del gruppo Riva ricordano non ancora applicato, «come dimostrano le ripetute proroghe concesse nel tempo dai vari governi succedutisi». Inoltre, si denuncia quello che di fatto è stato un vero e proprio esproprio, in quanto l’Ilva è stata «definitivamente sottratta ai proprietari mediante una espropriazione di fatto, mai dichiarata con provvedimento o con norma, ma che comunque comporta la integrale spoliazione dei proprietari dell’impresa».

L’espropriazione di un bene privato, ricordano i legali dei Riva, secondo l’ordinamento italiano fa sorgere il diritto a «un giusto ristoro per l’espropriazione subita e le perdite conseguenti. Non può aversi, infatti, nel nostro ordinamento un effetto ablatorio privo di compensazione o di indennizzo, per espressa previsione dell’articolo 42 della Costituzione». Il tutto in attesa di conoscere, il prossimo 11 febbraio, quali e quante saranno le manifestazioni di interesse presentate al bando disposto per la vendita totale o parziale dell’Ilva e delle sette società controllare dall’azienda. Infine, una buona notizia per i lavoratori: con un emendamento al decreto Milleproroghe, è stata riportata al 70% la percentuale di stipendio ricevuto dai lavoratori in contratto di solidarietà. E quindi anche di quelli dell’Ilva di Taranto e Genova.