Cultura

Amazon, macchina da guerra implacabile

Amazon, macchina da guerra implacabile«Chicago Board of Trade II» di Andreas Gursky, 1999

Tempi presenti Un percorso di letture sull’azienda di Bezos e il suo potere contrattuale. Il dietro le quinte di Angioni, «country manager» per l’Italia e la resistenza dello scrittore Carrión. Un’impresa nata sfruttando la quantità enorme di dati che i clienti sono pronti a consegnare in tutte le forme possibili e la debolezza dei governi di fronte alla sua volontà di dettare regole

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 17 novembre 2020

«A cosa punta adesso Jeff Bezos?», si chiedeva la settimana scorsa l’Economist. Interrogativo quasi retorico cui dava immediata risposta il disegno che accompagnava l’articolo: la silhouette del fondatore di Amazon a cavalcioni di una falce di luna, chiara allusione alle mire spaziali dell’uomo più ricco del pianeta.

Ma anche quando non guarda al cielo, Bezos tende a espandersi. Da giorni circola la notizia che Amazon sta entrando nel mercato televisivo del calcio italiano come ha già fatto in Germania e Gran Bretagna. Un investimento (80 milioni, poca cosa per chi nel 2019 ha fatturato più di 280 miliardi di dollari) che come i treni ne nasconde un altro di maggior consistenza. Alla multinazionale di Seattle, spiega infatti Prima comunicazione, più del nostro sport interessa allargare «la sua enorme capacità di raccolta delle preferenze dei consumatori» e aumentare così il «potere contrattuale con le imprese italiane produttrici dei beni in vendita sulla sua piattaforma online».

Sulla vastità delle ambizioni di Bezos nessuno ha dubbi, men che meno Bezos. La raccolta delle sue celebri lettere annuali agli azionisti di Amazon uscita ora negli Usa – titolo: Invent & Wander – è pervasa, scrive ancora l’Economist, dallo «zelo missionario» dell’autore. Lo stesso zelo missionario che a diciott’anni, nel tradizionale discorso di fine scuola, gli fece dire che avrebbe voluto mandare nello spazio tutti gli umani e trasformare la Terra in un gigantesco parco naturale.

Prima che ci ritroviamo catapultati sulla Luna o su Marte a bordo di un’astronave targata Blue Origin (questo il nome della società spaziale di Bezos) ci vorranno – speriamo – anni, ma intanto la pandemia, limitando i nostri spostamenti e incentivando le vendite online, ha ulteriormente arricchito questo aspirante clone del capitano Jean-Luc Picard di Star Trek. «Peccato – ha scritto Franklin Foer sull’Atlantic – che Amazon somigli di più all’arcinemico di Picard, il Borg, «un’entità che inghiotte la società e avvisa le vittime: Sarai assimilato, ogni resistenza è inutile».

Del resto Foer, da anni uno dei critici più severi di Bezos (Amazon Must Be Stopped si intitolava un suo intervento del 2014 su The New Republic), confessa la propria ambivalenza. Il contenitore della carta riciclata in casa sua è pieno di cartoni su cui spicca una freccia piegata in un sorriso: «A volte penso che con quel sorriso l’azienda si prenda gioco di me. La mia fedeltà a Amazon resiste nonostante le mie critiche. Quando noi dipendiamo da Amazon, Amazon aumenta il controllo su di noi».

La parola «controllo» è cruciale sempre, ma in riferimento ad Amazon anche di più, e per questo non si può che raccomandare a tutti i Bezos-dipendenti (tutti noi, o quasi) la lettura di due libri diversi fra loro, ma in certo senso complementari, usciti in Italia quest’anno: Amazon dietro le quinte di Martin Angioni (Raffaello Cortina Editore, pp. 287, euro 16) e Contro Amazon. Diciassette storie in difesa delle librerie, delle biblioteche e della lettura di Jorge Carrión (e/o, pp. 208, euro 16).

A proposito di controllo, però, facciamo un passo indietro. Nella seconda metà di marzo la BBC ha diffuso sul suo canale instagram un breve video girato in un magazzino di Bergamo (erano i giorni in cui i camion militari portavano via le salme di chi non era sopravvissuto al covid). «Gli autisti di una ditta di consegne cantano insieme per tirarsi su il morale mentre caricano i pacchi sui furgoni» recitava la didascalia in inglese. Ma per chi aveva visto Sorry we missed you di Ken Loach la storia raccontata da immagini e audio era diversa. Un’unica voce (il capo-magazzino?) scandiva più volte una frase, «la gente che non molla siamo noi» e i corrieri annuivano o tutt’al più alzavano rapidi le braccia in segno di assenso, continuando a sistemare i loro carichi per non perdere un solo prezioso minuto. Come l’eroe del film di Loach, testardamente e tragicamente convinto di mantenere il controllo sulla sua vita, ma prigioniero di un ingranaggio in cui aveva scelto di infilarsi senza valutarne le conseguenze.

Di questo ingranaggio, o meglio della macchina che lo regola, Martin Angioni spiega con precisione meticolosa i meccanismi, conoscendoli bene dall’interno. È stato lui, country manager per l’Italia di Amazon dal 2011 al 2015, ad avviare il sito amazon.it prima di essere licenziato in tronco perché in un fuorionda televisivo aveva irriso i tentativi di inchiodare la società di Seattle sul piano fiscale.

Oggi Angioni scrive che il licenziamento gli apparve come una liberazione. E anche se si è tentati di pensare che si tratti di una giustificazione a posteriori, due elementi rendono di particolare interesse la lettura di Amazon dietro le quinte. A colpire innanzitutto è la mole di materiali con cui l’autore documenta la determinazione inflessibile – relentless, parola-chiave nel lessico di Bezos – con cui questo «totalizzante mondo a parte» è stato costruito. Un’impresa realizzata sfruttando da un lato la quantità enorme di dati che i clienti sono pronti a consegnare in tutte le forme possibili (dalle «recensioni» per ogni tipo di merce alle «sottolineature» sul Kindle), dall’altro la debolezza dei governi nazionali e locali di fronte alla volontà della multinazionale di dettare le proprie regole. Al tempo stesso non si può non cogliere come Angioni, pur non rispecchiandosi (più) in Amazon, ne riconosca e ne ammiri l’efficienza straordinaria.

Come non riconoscerla, del resto? Come resisterle, quando il servizio Prime ti recapita in 24 ore e «gratis» (in realtà pagando un forfait annuo che comprende anche film e musica) l’oggetto che cerchi? Come competere con questa macchina da guerra implacabile che finge di essere sempre al Day One, all’inizio del percorso, per procedere famelica crescendo a dismisura? Certo, da qualche mese le librerie indipendenti con i loro bookshop.org (negli Usa e nel Regno Unito) o bookdealer.it (qui in Italia) stanno provando a contrastare sul suo stesso terreno la piattaforma di Bezos, ma almeno per ora la differenza fra i servizi offerti è così grande che disintossicarsi da Amazon non sarà facile.

Eppure, ci dice lo scrittore spagnolo Jorge Carrión, questa è la strada da seguire o perlomeno da imboccare. Non è un ingenuo, Carrión, e sa bene – lo scrive al settimo e ultimo punto del suo manifesto «contro Amazon» (il testo che dà il titolo al suo libro e lo apre) – che quella di Amazon, Google, Facebook è l’attuale «musica del mondo». Anche lui quindi vede le serie tv di Amazon, anche lui compra i libri (solo quelli fuori catalogo, però) da un rivenditore nell’orbita di Amazon. Ma crede pure nella «resistenza minima e necessaria», in una lentezza – magari «accelerata» – che è il contrario del pulsante buy now, «compra ora, subito», tanto importante per Amazon, quello su cui non a caso la commissaria europea per la concorrenza Margrethe Vestager ha appuntato di recente la sua attenzione.

Crede anche, Carrión, nel «fattore umano» e per questo tutti i testi del volume, un reportage dal mondo del libro che ci porta in Argentina e in Australia, a Capri e a Londra, a Seul e a Tokyo, intreccia alle letture una serie di incontri con librai, bibliotecari, scrittori. E crede infine – e lo scrive – che per Amazon non ci sia gran differenza fra una paperella di gomma, un pacco di biscotti, un libro, «merci di rango equivalente». Ma qui sbaglia: per Amazon, spiega Angioni, i libri sono «la mucca sacra, the sacred cow» – e non solo per la facilità della confezione o per il diritto di resa, ma perché grazie ai libri Amazon «intercetta automaticamente una clientela medio-alta (istruzione, reddito, utilizzo della carta di credito, tempo libero scarso) che entra nell’everything store di Amazon» passando dalla libreria e poi scopre tutto il resto.

I libri come cavalli di Troia, insomma. Vale la pena pensarci la prossima volta che saremo sul punto di cliccare sul pulsante buy now.

Bookdealer per le librerie indipendenti

Negli Stati Uniti il lancio di Bookshop (ora replicato anche in versione britannica) è stato salutato con entusiasmo all’inizio del 2020 da tutti coloro cui premono le sorti delle librerie indipendenti. Il meccanismo del progetto, ideato da Andy Hunter, co-fondatore nel 2015 di Literary Hub, tra i siti più interessanti nel campo dell’informazione culturale di lingua inglese, è semplice: le librerie, anche quelle piccolissime, possono creare nel sito di Bookshop una vetrina virtuale e ricevere poi per ogni vendita il 30% sul prezzo di copertina. Quanto ai rapporti con i clienti e alla spedizione sono gestiti dallo stesso Bookshop e dai distributori partner; la consegna è garantita entro due-tre giorni e sui titoli viene applicato uno sconto. Come ha detto Hunter al «Guardian», l’impresa, avviata a febbraio, ha avuto un’accelerazione enorme con la pandemia fino a raggiungere nei soli Usa un fatturato di quasi 8 milioni di dollari. Simile, ovviamente più limitato nei numeri, è l’italiano Bookdealer, che si ripromette «di permettere alle singole librerie indipendenti di fare massa critica e provare a competere con i grandi store on line». Impegno non da poco, se si considera che l’innominato avversario è Amazon: tentare non solo non nuoce, è addirittura necessario.

 

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