E così, eccoci traghettati nel nuovo anno (auguri a volontà, ne abbiamo bisogno). Ma in questi giorni di passaggio può essere utile, per capire cosa abbiamo davanti, passare ancora una volta in esame quello che ci siamo lasciati, forse, alle spalle. Lo fanno bene, nell’ambito dell’editoria, Jim Milliot e Ed Nawotka su Publishers’ Weekly, analizzando le principali tendenze del 2022. Certo, la prospettiva è per forza di cose americanocentrica, e molta attenzione è puntata sulla mancata acquisizione di Simon & Schuster da parte di Penguin Random House, ma almeno un paio di punti possono interessare anche le case editrici da questa parte dell’Atlantico.

Il primo, il più importante, è l’onda lunga del Covid in relazione ai movimenti di Amazon: «Nel 2020 e nel 2021, durante le prime fasi della pandemia – scrivono Milliot e Nawotka – i consumatori hanno spostato la loro spesa verso i rivenditori online, abbandonando i negozi fisici, e questo movimento ha indotto Amazon a effettuare grandi ordini di tutti gli articoli, compresi i libri. Ma nel 2022, quando i consumatori sono tornati a frequentare i negozi, l’aumento della spesa online è rallentato», con effetti prevedibilmente negativi per Amazon che «per ridurre le scorte di libri accumulate, ha ridotto drasticamente i nuovi ordini effettuati durante l’estate». A catena sono diminuite le vendite, con cali – riferiscono i giornalisti di Publishers’ Weekly – che in certi casi, soprattutto nei mesi estivi, sono arrivati fino al 70 % e che non hanno risparmiato neppure i giganti: «HarperCollins ha citato il crollo degli ordini da Amazon come il motivo principale per cui le vendite nel trimestre luglio-settembre sono diminuite dell’11%».

Sarebbe interessante sapere se e in quale misura il fenomeno si è verificato anche da noi (molto probabile, ma i dati mancano). Pare comunque che negli Stati Uniti la situazione sia migliorata in autunno, e da parte sua Amazon ha negato con forza di avere perso interesse nel settore editoriale, come alcuni ipotizzavano (temevano? auspicavano?). Ma i bruschi saliscendi che hanno caratterizzato gli ultimi anni hanno a che fare solo in parte con la pandemia e rispecchiano la debolezza di un mercato su cui è difficile fare previsioni a medio-lungo termine.

A bilanciare in parte questi numeri Milliot e Nawotka portano l’indubbio successo della Sharjah International Book Fair, edizione 2022. A chi, nonostante i Mondiali in Qatar, si ostinasse a trascurare quanto accade nei paesi mediorientali, spieghiamo che Sharjah è la capitale dell’omonimo emirato (uno dei sette che fanno parte degli Emirati Arabi Uniti), un paese che da tempo ha dimostrato di voler occupare un posto di rilievo in campo culturale. E per quanto riguarda l’editoria, il 2022 è stato l’anno del trionfo: ospite d’onore alla Children’s Book Fair di Bologna e alla Feria di Guadalajara in Messico, nonché market focus country alla Book Fair di Londra, Sharjah ha registrato cifre notevoli – quasi mille le case editrici e le agenzie letterarie, provenienti da 92 paesi – alla fiera organizzata in casa, che tra l’altro ha avuto come ospite d’onore proprio l’Italia.

Ma il dato più impressionante riguarda l’affluenza: secondo Publishers’ Weekly, la manifestazione «ha attirato circa ottocentomila visitatori, contro i tremila dell’edizione 2019», pre-pandemia. Non male per un paese (parliamo di Sharjah, non degli Eau nel loro insieme) che conta meno di due milioni e mezzo di abitanti e che – aggiungiamo per i curiosi – è retto dall’emiro Sultan bin Muhammad Al-Qasimi dal lontano 1972 (tranne, nel 1987, una parentesi di una settimana per un colpo di stato ordito dal fratello Abdulaziz e subito fallito).