A Bergamo ora si indaga per epidemia colposa. La Procura ha istituito un pool di pubblici ministeri che «si occuperà di tutta l’attività d’indagine che riguarda l’epidemia nella bergamasca» ha detto la titolare del fascicolo Maria Cristina Rota. Una parte importante del disastro lombardo inizia qui, nella zona più industrializzata del paese, dove Regione Lombardia e Governo hanno scelto di non fare la zona rossa, a differenza di quanto fatto nella bassa lodigiana.

L’INCHIESTA PARTE dall’ospedale di Alzano Lombardo dove i magistrati indagano per epidemia colposa a carico di ignoti. Negli stessi giorni in cui veniva chiuso l’ospedale di Codogno per un paziente positivo al Covid, ad Alzano l’ospedale restava aperto nonostante due casi accertati diventati decessi nel giro di poche ore e diversi pazienti transitati nei dieci giorni precedenti dal pronto soccorso con febbre e polmoniti anomale. I carabinieri del Nas hanno perquisito la struttura e acquisito documenti tra cui le cartelle cliniche dei primi due decessi ufficiali con Covid della bergamasca: Ernesto Ravelli, il pensionato di 84 anni di Villa di Serio morto nella notte di domenica 23 febbraio, e Franco Orlandi, ex camionista di 83 anni di Nembro, morto il giorno dopo. Entrambi erano stati ricoverati nell’ospedale di Alzano alcuni giorni prima: Ravelli il 21 febbraio e Orlandi il 15, ben otto giorni prima. Non erano i soli, diverse testimonianze raccontano di pazienti con anomale polmoniti e febbre alta transitati dal pronto soccorso di Alzano già da metà febbraio senza che quei sintomi facessero scattare alcun allarme Coronavirus. I tamponi arriveranno solo dopo Codogno, il 22 febbraio.

L’INDAGINE DELLA magistratura dovrà chiarire due cose in particolare: perché non scattarono le procedure anti-Covid con l’arrivo dei primi pazienti sintomatici e perché il 23 febbraio l’ospedale di Alzano, dopo la scoperta dei primi positivi, venne riaperto al pubblico poche ore dopo la chiusura. Diverse testimonianze ora al vaglio della Procura raccontano di una riapertura senza particolari precauzioni e con una scarsa sanificazione, riapertura disposta dall’Asst Bergamo est, il distretto sanitario guidato dal direttore generale Francesco Locati, uomo in quota Lega molto vicino a Matteo Salvini.

IERI IL PRIMO A DIFENDERE i dirigenti sanitari locali piazzati dalla Lega è stato proprio Salvini, che pochi giorni fa ci aveva provato anche in Parlamento con l’emendamento sullo scudo penale per i direttori sanitari. «Onore a chi è in trincea, io più che un’inchiesta dei Nas o un fascicolo della procura avrei mandato medaglie». L’assessore alla Sanità Gallera condivise la scelta di riaprire l’ospedale e oggi la difende, spiegando che il 23 febbraio vennero sanificati i locali prima della riapertura in condivisione con la Regione. «Come avevamo fatto a Codogno» ha detto Gallera. Ma nel comune lodigiano il pronto soccorso non ha ancora riaperto completamente al pubblico, lo ha ricordato lui stesso ieri nella consueta diretta Facebook.

AD ALZANO PERSINO il tendone per il triage dei pazienti venne installato diversi giorni dopo la scoperta dei primi due casi. Da quel pronto soccorso nei dieci giorni a cavallo del 23 febbraio transitarono persone che poi tornarono nelle proprie case, dai propri familiari, dagli amici, al lavoro, contribuendo involontariamente a diffondere il virus. Non fu il solo vettore di contagio l’ospedale di Alzano, ma certamente contribuì in modo determinate ad innescare la lunga scia di lutti che ancora oggi non si è arrestata.

NEI GIORNI DELLA sciagurata campagna «Bergamo is running» fu il virus a correre nelle fabbriche lasciate aperte per volontà di Confindustria, sui mezzi pubblici, nelle case di riposo, negli ospedali. È in particolare nelle strutture sanitarie che il virus si è moltiplicato, ma ammetterlo sarebbe ammettere le falle della gestione tutta incentrata sugli ospedali di Fontana e Gallera. In quei giorni a cavallo del 23 febbraio Alzano, a differenza di Codogno, passò sotto silenzio nonostante un maggior numero di casi Covid attivi. Perché? «Perché la situazione di Alzano era più grave di quella di Codogno ma non bisognava parlarne per non compromettere gli interessi economici della zona» sostiene Francesco Macario, ex assessore a Bergamo e segretario cittadino di Rifondazione Comunista.

«Quegli interessi che poi porteranno a non istituire la zona rossa». Secondo Macario «appena fatti i tamponi si resero conto che la situazione nell’ospedale e nelle case di riposo di Alzano e Nembro era grave e il numero di casi più alto di Codogno. Gli anziani delle case di riposo andavano all’ospedale a fare gli esami e poi tornavano nelle Rsa. I dati sono stati silenziati» accusa Macario «non farli uscire era il presupposto per non istituire la zona rossa. Non la volevano e hanno fatto di tutto per non averla. E ci sono riusciti».