Ora lo leggiamo nero su bianco: Governo e Regione Lombardia non hanno istituito la zona rossa ad Alzano e Nembro come invece chiesto dal Comitato Tecnico Scientifico. L’indicazione è contenuta nel verbale della riunione del Cts del 3 marzo, ed è chiara: «Il Comitato propone di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei comuni della zona rossa anche in questi due comuni, al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue». I due comuni di cui parlano i tecnici sono Alzano Lombardo e Nembro, nel cuore della bassa Valseriana, che in quei giorni presentavano già decine di contagi e i primi morti. Una situazione più critica rispetto a quella di Codogno, dove invece la zona rossa venne fatta immediatamente.

IL 3 MARZO Nembro contava 58 positivi al Covid, Alzano 26, Villa di Serio 14, Albino 16. La Valseriana aveva già dieci morti riconducibili all’ospedale di Alzano, da dove le persone decedute erano transitate e dove c’era un focolaio accertato. Le persone si ammalavano e iniziavano a morire, la politica non decideva. Lo stralcio del verbale della riunione del 3 marzo del Cts è contenuto nei documenti che Regione Lombardia ha consegnato al consigliere regionale di Azione Niccolò Carretta che a inizio aprile aveva fatto una richiesta di accesso agli atti rimasta inascoltata. Ora, quattro mesi dopo, i documenti sono arrivati, coincidenza proprio dopo il polverone sollevato dalla richiesta fatta anche dalla Fondazione Einaudi al Governo. Perché la Regione guidata dalla Lega ha deciso di diffonderli solo ora?

Quanto emerso mette in difficoltà più Conte che la giunta lombarda, la Lega infatti sta usando i verbali del Cts contro il presidente del consiglio. Ma la storia va guardata e raccontata dall’inizio, e l’inizio portato dritto al presidente lombardo Attilio Fontana e al suo assessore Giulio Gallera: la Regione vide la gravità della situazione dal 23 febbraio e non chiese con forza la zona rossa, il Governo dal 3 marzo non diede seguito all’indicazione del comitato di esperti.

«Sono verbali con due omissis all’inizio e alla fine, non sono esaustivi» dice Niccolò Carretta, il consigliere lombardo di Azione, «ora è opportuno rendere pubblici tutti i documenti». Dice ancora Carretta: «Chiederò la documentazione integrale senza omissis alla Regione, nel frattempo spero che anche il Governo faccia chiarezza».

DURANTE LA RIUNIONE del 3 marzo il Comitato sente telefonicamente anche l’assessore alla sanità lombarda Gallera e l’allora direttore generale della sanità Luigi Cajazzo, che confermano l’aumento dei contagiati nei due comuni, ma nel verbale non è contenuta alcuna richiesta specifica della Regione Lombardia per istituire una zona rossa. Il giorno precedente, il 2 marzo, ai microfoni di Radio Popolare l’assessore Gallera parlava di un’altra strategia adottata ad Alzano e Nembro, escludendo la zona rossa. Fontana e Gallera hanno sempre detto di aver chiesto al Governo di fare la zona rossa, ma se questo era il modo di chiederlo appare tutt’altro che convincente. Il 23 febbraio all’ospedale di Alzano Lombardo venivano scoperti due positivi, poi deceduti nelle successive 24 ore. Al 3 marzo i casi di Covid accertati in provincia di Bergamo erano 372 e la Valseriana e l’ospedale di Alzano erano in modo chiaro e inequivocabile il focolaio di quel contagio.

LA RICOSTRUZIONE degli eventi ci dice che la sera del 23 febbraio la Regione decise di riaprire l’ospedale dopo una veloce sanificazione contro la volontà del direttore medico della struttura Giuseppe Marzulli. «Non possiamo restare aperti in queste condizioni» scrisse il 25 febbraio in una lettera inviata all’Asst Bergamo-est. Per queste circostanze ci sono due indagati, al momento ignoti, nell’indagine che sta conducendo la Procura di Bergamo. Sono le decisioni di quei giorni ad Alzano prese dalla Regione a determinare gli eventi delle settimane seguenti, fino ai giorni in cui il presidente del consiglio Conte deciderà di trasformare tutta la Lombardia, e poi l’Italia, in zona arancione.

SECONDO IL PRESIDENTE dell’Ordine dei Medici di Bergamo Guido Marinoni «era necessario chiudere Nembro e Alzano, andava bene farlo anche a marzo, si sarebbero salvate molte vite». Per Luca Fusco, presidente del comitato vittime del Covid nella provincia di Bergamo, la zona rossa andava fatta subito, tra 23 e il 25 febbraio, perché «avrebbe evitato il diffondersi dell’epidemia nel resto della provincia e della regione, e con una Lombardia meno malata forse si sarebbe potuto evitare il lockdown nazionale». Il Comitato chiede la pubblicazione di tutti gli atti, «solo così potremo farci un’idea chiara delle responsabilità politiche e il Governo dimostrerà di avere rispetto delle persone».

Ma la zona rossa non arrivò mai, né il 23 febbraio né il 3 marzo. In quei giorni la Confindustria locale chiedeva a gran voce di non chiudere Bergamo e la Valseriana, anche se Conte, Fontana e il sindaco di Bergamo Gori hanno sempre negato pressioni degli industriali sulle decisioni politiche. Ma leggendo il verbale del 3 marzo del Cts e ricostruendo la cronologia degli eventi appare evidente come le decisioni politiche prese da Governo e Regione non abbiano arginato la diffusione del virus in Valseriana, anzi. Sulla tutela della salute pubblica prevalsero gli interessi industriali e commerciali.