L’accordo fra governo e Arcelor Mittal slitta di dieci giorni ma la cassa integrazione per 3mila operai e altri 1.700 in esuberi sono ufficiali. Il ritorno dello Stato nella siderurgia prevede l’ingresso di Invitalia in ArcelorMittal Italia con il 50% per poi salire al 60% nel giugno del 2022 dovrebbe essere firmato alla fine della prossima settimana, ma oggi i punti principali del piano sono stati illustrati ai segretari generali di Fiom, Fim e Uilm che hanno apprezzato l’impegno dello Stato ma chiesto che sia garantita la piena occupazione.
Il piano illustrato dall’inamovibile – anche quando è commissario a tutto – amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri prevede invece la piena occupazione solo per il 2025 senza contemplare però i 1.700 lavoratori non ancora riassunti e attualmente in carico all’amministrazione straordinaria di Ilva. Il piano prevede a regime la produzione di otto milioni di tonnellate – contro le attuali 3,3 – e 10mila e 700 addetti, esattamente come l’accordo firmato a marzo da governo e Mittal, senza i sindacati. La cassa integrazione sarebbe per 3.000 unità nel 2021; di 2.500 nel 2022; di 1.200 nel 2023 e zero nel 2024. «È evidente – commenta la segretaria della Fiom Francesca Re David – che questa ipotesi è lontana dall’accordo sindacale del 2018, in cui è previsto il vincolo occupazionale anche per i 1700 lavoratori in amministrazione straordinaria, e che i tempi della transizione fino al piano industriale al 2025 sono difficilmente sostenibili sia per quanto riguarda il numero di lavoratori sia per gli attuali livelli di copertura salariale con ammortizzatori sociali. Per noi l’accordo sindacale non potrà prescindere dalla piena occupazione in tempi e modalità sostenibili», conclude Re David.
Per Rocco Palombella della UIlm è «inaccettabile un piano occupazionale con una transizione che duri cinque anni. Non firmeremo mai un accordo che preveda migliaia di esuberi. Dalla prossima settimana inizieremo una trattativa per arrivare a un’intesa che dia un futuro occupazionale a tutti i lavoratori e che avvii il piano di risanamento ambientale tanto atteso».
«È una decisione importante – sottolinea Roberto Benaglia della Fim – . Ora bisogna condividere piano industriale e investimenti, un cronoprogramma che chiarisca i passaggi da qui al 2025. Sarà fondamentale legare il rilancio dell’acciaio alla garanzia per i lavoratori che stanno attraversando una lunghissima traversata nel deserto»