Quando esordì in edicola, appena quindici anni fa, era non solo un altro millennio, ma un altro mondo. Partorita dall’idea di un pugno di importatori italiani del commercio equo e solidale e da sei ong che volevano dotarsi di un proprio strumento di informazione fuori dal mainstream mediatico, Altreconomia fu baciata dalla fortuna fin dalla data di partenza. Alla metà di novembre del ’99 uscì il primo numero, 20 pagine in bianco e nero e copertina sulla campagna di boicottaggio alla Del Monte, per denunciare le pessime condizioni di lavoro in una piantagione di ananas in Kenya (la compagnia sarà poi costretta a trattare). Appena quindici giorni dopo, la rivolta di Seattle fece conoscere al mondo l’esistenza di un movimento che chiedeva una globalizzazione più giusta e metteva in discussione il modello di sviluppo fondato sulla crescita, sulla finanza e sullo sfruttamento del territorio e delle persone. Loro si trovarono in prima linea, con l’idea di squadernare i contenuti e le ragioni forti di quel movimento troppo spesso raccontato solo per agitare lo spauracchio degli scontri di piazza.
Quindici anni e un secolo dopo la storia ha dimostrato che su tante cose quel movimento aveva ragione, ma ciononostante il mondo è andato in un’altra direzione: sono tornate le guerre, l’economia domina sulla politica, l’idea di Europa vacilla sotto i colpi dei populismi e il capro espiatorio dell’impoverimento generalizzato diventano gli immigrati e i rom. Altreconomia (come il manifesto, d’altronde) naviga ancora controcorrente e pubblica un numero in cui si ricordano gli «adolescenti inquieti» che in quei giorni di fine millennio manifestavano a Seattle. «Quell’idea di società fondata sul mercato è stata travolta dalla crisi, mentre noi restiamo qui a raccontare l’importanza di stringere alleanze e cambiare priorità, andando oltre la società dei consumi», scrive il direttore Pietro Raitano.

In quindici anni la rivista è cambiata e cresciuta. Nata come un consorzio di organizzazioni, nel 2004 si è allargata a diciassette soggetti e aumentando il capitale: un «salto di qualità» che ha consentito di aumentare la foliazione e introdurre il full color. Nel 2007, poi, è arrivata quella che nella redazione milanese (nove dipendenti, di cui quattro giornalisti e una grafica), definiscono una piccola «rivoluzione»: la trasformazione in cooperativa.
«È stato un salto nel buio, che però ci ha consentito di andare fino in fondo sull’idea di indipendenza. Ora abbiamo un legame stretto con il mondo del commercio equo, dalle botteghe arriva il 18 per cento delle vendite, però non dipendiamo che da noi stessi, ed è questo che ci consente di scrivere quello che vogliamo», spiega Raitano. Da ultimo, l’ebook «Rottama Italia» ha sfondato la barriera mediatica: più di centomila persone hanno scaricato (gratis) il pdf.

Attualmente Altreconomia conta 637 soci, di cui 585 persone fisiche e 52 giuridiche (tra queste, trenta organizzazioni del commercio equo e solidale), diffonde in 10 mila copie un mensile di 52 pagine diffuso nelle botteghe del commercio equo e per abbonamento, ha un sito web (www.altreconomia.it) e pubblica una ventina di libri all’anno, sceglie le (poche) pubblicità con un criterio rigorosamente etico e rifiuta i fondi pubblici per l’editoria cui pure avrebbe diritto. Chiede sostegno solo ai suoi lettori e agli abbonati e promette che, costi quel che costi, non farà nulla che possa minare la sua radicalità. «Adolescenti inquieti», come nel novembre del ’99.