Li chiamavamo tutti Billi. Che oltre a nome generico attribuito ai cani, indicava la categoria dei randagi. Alla domanda «di che razza è?», relativa al cane tolto dalla strada, si ribadiva: «è un Billi». L’interrogativo risultava retorico dato che un randagio, ovvero il Billi, era ben riconoscibile pur trovando casa e padrone. Casa, tanto per dire. Si trattava di una cuccia, all’esterno, tirata su con quattro tavole più la catena per trattenerlo. Quanto al padrone, questi se ne serviva perché gli facesse da guardia alla casa. A Billi, per il genere femminile, si contrapponeva Lola. Con i Billi e con le Lola abbiamo brigato varie volte percorrendo strade e contrade in tempi in cui, la perdita di tempo, era lo sport più praticato. Il rapporto, con partecipazione attiva del randagio incrociato per caso, contemplava piccole crudeltà. La bestiola veniva aizzata ad abbaiare dentro viuzze strette ad alta densità abitativa, scatenando un coro istantaneo d’imprecazioni che fuorusciva dagli alloggi. A quel punto, prima che le porte si aprissero, ce la filavamo ridacchiando per aver fatto svegliare in piena notte una decina di famiglie. Tutto qui. Una perdita di tempo da idioti, la nostra, complice suo malgrado il cane vagliò di turno. Vagliò, che definisce una specie di volpino, era usato anch’esso da appellativo per i randagi. Con un vagliò, il tipico volpino italiano pelo bianco, che smarritosi o scappato vagava solitario, c’imbattemmo parecchio dopo, quando il tempo perso era ormai scaduto da un pezzo.

Tuttavia, come in quel tempo, continuavamo a fare notte a causa del lavoro in un giornale che, in linea con l’informazione antecedente il web, chiudeva regolarmente a tarda ora. Sotto la pensilina del portone nel palazzo cui abitavamo, dopo essere rincasato l’ultimo inquilino, cominciò a rifugiarsi il volpino vagliò. Le prime volte lo trovavamo sonnecchiante o, per diffidenza, a fingere di sonnecchiare; in seguito, scuoteva la coda stando accucciato ma cogli occhi spalancati; infine, sentendoci arrivare, si metteva ritto sulle zampe, in speranzosa aspettativa d’intrufolarsi dentro il portone. Insomma, salivamo insieme con l’ascensore e rimediava una fettina di salame e dell’acqua. Quindi se ne scendeva dalle scale per sistemarsi in un angolo dell’androne. Durante il giorno, che per noi cominciava tardi mentre per lui abbastanza presto, non ci si vedeva mai. Gli appuntamenti notturni proseguirono per una stagione o due, poi il vagliò sparì. Ci rincontrammo un’altra volta, di tarda mattinata. Si faceva portare al guinzaglio da una signora. Col pelo lucido, aveva trovato chi gli si prendeva cura. Saltellò fra le gambe e, chinatici, in cambio di una carezza ricevemmo una leccata sulla guancia. Andandosene guaiva e si girava, finché non scomparve alla fine della strada.