La procura di Udine ha aperto un procedimento per omicidio colposo a carico del datore di lavoro di Lorenzo Parelli. Venerdì il ragazzo, appena diciottenne, è stato ucciso da una trave d’acciaio nello stabilimento metalmeccanico Burimec, a Lauzacco in provincia di Udine. Mancavano soltanto poche ore alla fine del suo stage di «alternanza scuola-lavoro». Nei prossimi giorni sarà probabilmente disposta l’autopsia per stabilire con precisione la dinamica del decesso. Subito dopo il fatto erano giunti sul posto carabinieri, medico legale e pubblico ministero.

«Incidenti come questo sono inaccettabili, come inaccettabile è ogni morte sul lavoro. Il tirocinio deve essere un’esperienza di vita», ha detto il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Ma proprio sulle modalità di svolgimento degli stage scolastici sono piovute dure critiche. «L’alternanza scuola-lavoro non può essere trasformata in lavoro, oltretutto non retribuito, né le funzioni formative, gli stage, possono divenire l’occasione per ridurre il costo del lavoro e aumentare la produzione», ha scritto in una nota la Fiom. Sulla stessa linea d’onda l’Unione degli studenti: «Da anni segnaliamo al ministero una situazione di insicurezza, ma non siamo mai stati ascoltati seriamente. Non si può considerare didattica ciò che sfrutta, ferisce e uccide». Priorità alla scuola ha chiesto le dimissioni del ministro Bianchi.

L’incidente accaduto a Parelli ha avuto l’esito più drammatico, ma non è un caso isolato. Il 16 giugno scorso a Rovato uno studente sedicenne è precipitato da un cestello elevatore di cinque metri ed è stato portato in ospedale in condizioni critiche. Il 4 febbraio 2020 alla Emmeti Mondino Trattori di Genola (Cuneo) un diciassettenne è finito in terapia intensiva dopo essere stato travolto da una cancellata in ferro. La mattina del 13 giugno 2018 un coetaneo si è amputato una falange lavorando presso un’officina meccanica a Montemurlo, vicino Prato.

Il 7 ottobre 2017 a La Spezia si è sfiorata la tragedia quando uno studente è rimasto schiacciato dal muletto che stava guidando (senza patente): si è «solo» rotto la tibia. Il 21 dicembre 2017 nello stabilimento Sueco di Faenza, provincia di Ravenna, il braccio meccanico di una gru ha ceduto: un operaio di 45 anni è morto, un diciottenne si è fratturato le gambe e ha riportato lesioni. Tutti questi ragazzi stavano svolgendo dei programmi di alternanza scuola-lavoro.

Il meccanismo è stato introdotto tra il 2003 e il 2005 negli istituti tecnici e professionali dalla ministra dell’Istruzione Letizia Moratti, inizialmente in forma facoltativa e poi obbligatoria. La «buona scuola» renziana lo ha esteso anche ai licei. Così è diventato indispensabile per tutti gli studenti degli ultimi tre anni di superiori, con un monte ore differenziato in base agli istituti. Nel 2018 è stato ribattezzato Pcto, Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento. Ma la sostanza è rimasta la stessa.

Il sito del ministero lo definisce «una modalità didattica innovativa, che attraverso l’esperienza pratica aiuta a consolidare le conoscenze acquisite a scuola e testare sul campo le attitudini di studentesse e studenti, arricchirne la formazione e orientarne il percorso di studio e in futuro di lavoro». Ma nel corso degli anni l’alternanza è stata oggetto di dure critiche, soprattutto per le ridotte condizioni di sicurezza dei tirocinanti e l’assenza di retribuzione. Due questioni che l’«educazione al lavoro» dovrebbe insegnare a rigettare. A meno di voler formare i giovani proprio ad adattarsi a un mercato sempre più segnato da prestazioni gratuite e precarietà, dove secondo l’Inail solo tra gennaio e novembre 2021 ci sono state 502.458 denunce di infortunio e 1.116 morti.