È la battaglia di primavera della mondializzazione. Si svolge in Francia, per la conquista di uno degli ultimi fiori all’occhiello dell’industria francese: Alstom, attiva nel settore dei trasporti (produce il Tgv, tram, metro) e dell’energia (turbine a gas e idroelettriche, anche per l’energia nucleare, eolico).
La scorsa settimana i giochi sembravano fatti: l’americana General Electric (GE) stava per concludere l’acquisizione del settore energia di Alstom, cioè il 73% dell’attività del gruppo francese, per 10 miliardi di euro. L’accordo era stato negoziato dalla direzione di Alstom e fortemente voluto dal suo presidente, Patrick Kron. Ma il governo francese è intervenuto per bloccare l’operazione. Il ministro dell’economia, Arnaud Montebourg, ha rimesso in gioco la tedesca Siemens, facendo intravedere la possibilità della nascita di un «Airbus dell’energia» in Europa, gridando al mondo che «le imprese francesi non sono delle prede».

Dieci anni fa, nel 2004, un altro ministro dell’economia, Nicolas Sarkozy, era intervenuto, al contrario, per bloccare un assalto di Siemens su Alstom. Aveva fatto entrare temporaneamente lo stato nel capitale della società francese (al 21%, poi successivamente rivenduto con profitto) ed evitato lo smantellamento di quella che oggi Montebourg definisce «il simbolo della nostra potenza industriale e dell’ingegnosità francese». C’è anche una questione di sovranità, vista la presenza di Alstom nell’energia nucleare. E di brevetti. Ma a differenza del 2004, oggi un’eventuale nazionalizzazione, anche temporanea, sembra esclusa e l’«Airbus dell’energia» è al momento più una favola che un progetto preciso. La «soluzione europea», privilegiata dal mondo politico, a destra come a sinistra, appare al momento improvvisata e il progetto evocato dal presidente François Hollande nel gennaio scorso di «una grande impresa franco-tedesca per la transizione energetica» resta ancora allo stato di ipotesi per un futuro che appare lontano.

Ieri, Jeffrey Immelt, presidente di GE, è stato ricevuto in mattinata da Hollande all’Eliseo. Nel pomeriggio è stato il turno di Joe Kaeser di Siemens, seguito da Martin Bouygues, che controlla il 24,9% di Alstom ed è il principale azionista (che se pure intenzionato a lasciare ha sulla carta il potere di far pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra). Hollande e Montebourg hanno ottenuto un po’ di tempo, fino a mercoledì, per vederci più chiaro. Una decisione definitiva potrebbe però anche essere rinviata a dopo le elezioni europee, tanto la questione è scottante.

Per l’Eliseo l’unico punto da prendere in considerazione, in questo periodo difficile, è la garanzia sull’occupazione. Dopo la vendita dell’acciaio di Arcelor agli indiani di Mittal, dopo l’entrata della cinese Dongfeng nel capitale di Peugeot, mentre brucia ancora il ricordo dello smantellamento di Pechiney, la Francia cerca di evitare di perdere il controllo su uno degli ultimi punti di forza della sua industria tradizionale.

I sindacati sono sul piede di guerra. «Siamo assolutamente stupiti e furiosi – dicono alla Cgt – non siamo stati consultati, mentre i lavoratori sono la ricchezza del gruppo».
Alstom ha 93mila dipendenti nel mondo, di cui 18mila in Francia (in Italia, Alstom Power ha un sito a Sesto San Giovanni e c’è lo stabilimento di Savigliano, in provincia di Cuneo, con più di mille dipendenti, dove è stato progettato il Pendolino e che ha il business manutenzione del gruppo). Il governo francese, ricevendo sia GE che Siemens, cerca di ottenere delle garanzie dall’acquirente, oltre che sull’occupazione anche sulla sede dei centri decisionali in Francia (cosa che potrebbe penalizzare i siti all’estero). Perché è un fatto: Alstom non riuscirà a sfuggire a una vendita spezzatino. L’opzione è scegliere la soluzione meno dolorosa, tanto più che Alstom per il momento non ha l’acqua alla gola. Certo, nella battaglia mondiale dell’energia, Alstom è troppo piccola (20 miliardi di euro di fatturato), di fronte a GE (305mila dipendenti, 146 miliardi di fatturato) e Siemens (360mila dipendenti, 75,9 miliardi di fatturato). GE non è il «nemico americano» (impiega già 11mila persone in Francia, ha un accordo nei motori di aerei Safran e per Alstom sarebbe un ritorno alle origini, visto che la società è nata come Alsthom nel 1928, con il contributo di una filiale di GE) e c’è una complementarietà industriale. Ma per il ministero dell’economia tedesco, la fusione Alstom-Siemens sarebbe «una grande opportunità» per la Germania e per la Francia. Il riavvicinamento appare però precipitato. Tra le due società, finora concorrenti, ci sono dei doppioni che con le sinergie potrebbero portare a tagli di occupazione, in mancanza di un progetto industriale preciso nella Ue.