La letteratura, scrive Luisa Muraro, può sovvertire l’ordine simbolico, per esempio quando racconta le storie di soggetti sociali invisibili. È il caso del romanzo di Valentina Di Cesare Tutti i soldi di Almudena Gomez (Alessandro Polidoro Editore, pp. 224, euro 14) che racconta la storia di Almudena, una donna sudamericana che si è occupata per: «quindici anni, quattro mesi e diciassette giorni» della signora Ivetta Cols, fino a che questa, novantenne, non ha spirato.

IL ROMANZO non è costruito seguendo la linea del tempo, ma attraverso un costante incontro di presente e passato. L’incipit, infatti, racconta di Almudena alle prese con l’accusa di aver falsificato il testamento della signora Cols, che scopriremo le aveva lasciato un grammofono e una pelliccia. I figli di lei, però, Piergiorgio e Alberta, rappresentazione quasi caricaturale dell’insaziabile avidità occidentale, non vogliono darle neanche questi due oggetti, che la loro madre ha invece destinato alla donna che si è occupata di lei, ogni giorno, con discrezione e affetto. Le incursioni del passato si concentrano, infatti, per la maggior parte sul rapporto fra le due: come la personalità esuberante di Ivetta combaciasse con la forza mansueta di Almudena.

La signora Cols rappresentava per la sua «badante» la persona non solo più vicina, ma anche più interessata alla sua vita. Per questo, quando muore, Almudena soffre un lutto difficile da esprimere e da comprendere: come le assistenti personali affrontino e superino anche diverse morti in successione degli anziani di cui si occupano è un dato doloroso, di cui si occupano solo alcune sociologhe e la letteratura.

ALMUDENA supera la mancanza della signora Cols e trova un altro lavoro grazie al suo carattere, ben tratteggiato da Di Cesare nel corso del romanzo: «una persona così, capace di essere tanto concreta quanto lieve, tanto presente quanto estranea alle cose». Non c’è mai stato molto spazio per lo svago nella vita di Almudena, da quando bambina doveva gettare di nascosto le infinite bottiglie svuotate dal padre alcolista, fino all’emigrazione in Italia, senza permesso di soggiorno.

Una volta trovato l’impiego come assistente personale della Cols, che l’ha messa in regola, una buona parte del denaro Almudena ha iniziato a inviarlo all’ultima moglie di suo padre: Dona Felipa e al fratellastro Edmundo, mentre con ciò che le resta paga una stanza in affitto e a volte salta i pasti per risparmiare. Nel romanzo di Valentina Di Cesare c’è una parabola fiabesca che rende la lettura della storia piacevole e di conforto, solo che i fatti della vita di Almudena, che agli occhi di chi legge diventa ben presto una principessa latina, sono veri, anche se molte immigrate come lei non condividono le sue fortune: la signora Cols, un biglietto magico e il ricco Nicola.

Ciò non toglie che aver raccontato la vita di una donna delle donne, come direbbe Sabrina Marchetti, anche se con toni romanzati, ha incrinato l’ordine simbolico dominante, per cui la cura e le persone immigrate che se ne occupano sono invisibili.