Dal più grande licenziamento collettivo della storia recente è nato il primo esperimento di politiche attive basato sull’assegno di ricollocazione, lo strumento introdotto nel Jobs act e storica bandiera di Pietro Ichino. Un esperimento che diventerà il modello nazionale per volere dell’Anpal, la nuova agenzia per le politiche attive del lavoro.
I 1.666 lavoratori Almaviva Roma mandati a casa il 27 dicembre del 2016 allo scadere della procedura di licenziamento collettivo sono stati «le cavie» di un nuovo modello: dal 26 maggio 2017 hanno avuto in media circa 3mila euro di assegno di ricollocazione spendibile dal lavoratore licenziato in un Centro per l’impiego (pubblico) o in un’agenzia del lavoro (privata) per formarsi. Se il lavoratore viene riassunto, alla struttura che lo ha ricollocato viene riconosciuto un premio in denaro.

UN PROGETTO ANNUNCIATO in pompa magna il 16 febbraio 2017 dai ministri Giuliano Poletti e Carlo Calenda come «un nuovo modello di politiche attive» e fortemente voluto dal presidente Maurizio Del Conte, bocconiano e renziano di stretta osservanza. Usando il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (Feg), si creò un plafond di 4,9 milioni. A dare man forte al progetto arrivò anche la Regione Lazio – il referendum costituzionale che avrebbe passato allo stato centrale la competenza era appena stato sonoramente bocciato – che aumentò gli incentivi con ulteriori 8mila euro in favore delle imprese che avessero assunto ogni singolo lavoratore.

Ad un anno di distanza la Cgil di Roma e del Lazio ha resi noti i dati – forniti dalla stessa Anpal – «sulla condizione occupazionale al 7 marzo 2018». Ebbene, solo 36 lavoratori tra i 1.209 che hanno scelto l’assegno di ricollocazione sono stati riassunti a tempo indeterminato (pari al 2,9 per cento); 216 hanno un contratto a tempo determinato – di cui non si conosce la durata anche se altre stime parlano di due terzi sotto i 6 mesi – e altri 24 hanno una collaborazione coordinata e continuativa.

L’ALTRO GRANDE BUCO NERO è sui corsi di formazione a cui tutti i lavoratori dovevano essere chiamati: non tutti lo sono stati e il livello dei corsi è stato del tutto insoddisfacente.

«Io ho aderito al contratto di ricollocazione scegliendo un Centro per l’impiego pubblico», racconta Sabrina, lavoratrice ancora non riassunta. «In questi lunghi mesi ho ricevuto solo due chiamate: una da ComData (altro call center, ndr) a febbraio: cercavano una sola persona full time su Roma e so che hanno contattato tantissimi di noi. Poi un altro contatto a cui bisognava rispondere con una mail entro il 31 maggio. Niente di più. Anzi, gira voce che le aziende, se sanno che sei una licenziata Almaviva non ti chiamano, come se avessimo un marcho di infamia». Per Sabrina l’esperienza al Centro per l’impiego è stata tutt’altro che positiva: «Sono andata tre volte per aggiornare il curriculum e ho scoperto che la mia mail era sbagliata», racconta.

«IL PROBLEMA DI FONDO È che a dicembre per tutti questi lavoratori scadranno i due anni di Naspi (ammortizzatore così duraturo solo per chi lavorava da almeno 4 anni, ndr) e il numero di ricollocati è bassissimo – spiega Donatella Onofri, segretaria della Cgil di Roma e del Lazio – . Davanti ad un investimento molto grande i risultati sono avvilenti e non si capisce perché questo esperimento sia da prendere a modello come sostiene l’Anpal. La formazione non è stata mirata, anzi, i corsi sono stati costruiti esclusivamente sulla base delle esigenze degli enti accreditati, tanto che non partivano se non si arrivava ad 8 partecipanti. I ritardi nella partenza dei corsi hanno rallentato tutto il processo e alla fine i lavoratori si trovavano in mano un attestato di presenza non spendibile nel curriculum, non una certificazione come era stato annunciato».

«I POSTI DI LAVORO TROVATI sono essenzialmente nello stesso ambito lavorativo – commenta Riccardo Saccone, Slc Cgil – . Per passare ad un altro call center non servono grandi corsi di formazione. L’interesse dei concorrenti di Almaviva come ComData però non si è concretizzato e anzi una delle loro preoccupazione principali è stata assicurarsi che avrebbero preso il bonus assunzionale da 8mila euro anche se i tanti lavoratori che hanno fatto causa riuscissero a vincere il reintegro in Almaviva».

A PAGARE L’ESPERIMENTO sono stati anche i lavoratori pubblici dei centri per l’impiego. «Sono stati catapultati in questo progetto senza essere stati adeguatamente formati ad assistere i tantissimi licenziati Almaviva», denuncia Amedeo Formaggi, Fp Cgil. I 635 dipendenti dei 36 Centri per l’impiego del Lazio (330 a Roma dove i centri sono 26) hanno attraversato questa esperienza con la spada di Damocle del passaggio da dipendenti delle ex Province alla Regione.