Era l’ultimo disperato tentativo del ministero del lavoro per convincere il colosso dei call center Almaviva a tornare sui suoi passi e non presentare la procedura di licenziamento collettivo per 1.600 lavoratori – quasi lo stesso numero dei licenziati nel natale 2016 a Roma – di Palermo. L’idea era quella di allungare gli ammortizzatori sociali in scadenza a fine novembre. Ma l’azienda è stato inamovibile. Come lo fu per Roma (ora fintamente chiusa) e per Napoli (salvata in extremis dalla firma di un accordo durissimo da parte degli Rsu).
E così il 9 settembre – a 75 giorni dalla scadenza degli ammortizzatori sociali – Almaviva depositerà la procedura di licenziamento collettivo incurante delle richieste dei lavoratori, dei sindacati, delle istituzioni locali siciliane. E – buon ultimo – del governo. Che ieri, nonostante i sindacati chiedesssero la presenza del ministro Di Maio e del sottosegretario leghista Durigon era presente solo con dei tecnici: Francesco Vanin e Raffaele Fontana che hanno tentato in tutti i modi a convincere l’azienda a recedere.
Il copione è quello noto. L’azienda cerca di ottenere il massimo di sgravi fiscali, aiuti e incentivi dal governo di turno. Per farlo è disposta ad arrivare al licenziamento di migliaia di persone, come accadde due anni e mezzo fa a Roma. Il tutto mentre nel frattempo le delocalizzazioni e le assunzioni in Romania vanno avanti.
Anche i sindacati stessi – Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom – nutrivano poche speranze.
«Ancora una volta registriamo un nulla di fatto. Il ministro Di Maio, anche stavolta, non ha partecipato al tavolo e non è stata individuata una soluzione per scongiurare le procedure di licenziamento per 1.600 persone – dichiara il segretario generale Slc Cgil Palermo, Maurizio Rosso – . Si fermi questa gara al massacro, licenziare è da irresponsabili, non possono essere sempre i lavoratori a pagare. Ognuno si faccia carico delle proprie responsabilità».