La comunicazione è arrivata direttamente dall’amministratore delegato di Almaviva, Andrea Antonelli, nell’intranet aziendale: siamo riusciti a ottenere la commessa Wind, quindi ci troviamo nelle condizioni di salvare i 1500 posti a rischio, ma c’è un “ma”. La decisione del colosso telefonico, che proprio in questi giorni sta definendo una fusione con la concorrente 3, è legata a una «riserva»: viene richiesta una tariffa al minuto inferiore del 14% rispetto a quella attuale, e così il gruppo di Alberto Tripi butta la palla nel campo dei sindacati. Si dovrà raggiungere un accordo per «conseguire – parole dell’ad – l’indispensabile sostenibilità economica delle attività», altrimenti non se ne farà nulla. La dead line per chiudere le trattative è fissata per il 31 marzo.

È chiaro che per «sostenibilità economica» si intende tagliare in qualche modo il costo del lavoro, almeno da parte del gruppo di call center: e allora si fa di nuovo spazio un’ipotesi già ventilata qualche mese fa, ovvero la possibilità che Almaviva chieda una deroga al contratto nazionale. Ovviamente peggiorativa. Una possibilità che, se passasse, rappresenterebbe un precedente: e non solo per il settore delle tlc. Ma già nel gruppo sarebbe deleteria, almeno per le buste paga dei dipendenti: perché presto verrà a scadenza la commessa Telecom, e poi quella Sky. Tutti i committenti potrebbero insomma pretendere di scambiare forti sconti con un bella sforbiciata ai salari.

In alternativa, Almaviva potrebbe proporre di dimezzare le ore di lavoro, così come in questi giorni sta chiedendo un’altra azienda, la Infocontact, per conservare il posto ai suoi 1590 addetti calabresi. O, ancora, potrebbe accelerare sul pedale degli esuberi, mettendo comunque alcune cuffiette in cassa o addirittura in mobilità, visto che in ogni caso già da due anni i 9 mila dipendenti del gruppo romano stanno in solidarietà al 20% (pari a circa 1800 esuberi strutturali).

Ipotesi che per il momento vengono respinte dai sindacati: «È una cosa che non esiste: Almaviva sa bene che non c’è la nostra disponibilità alla deroga dei contratti, né a tagliare i salari», dice Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil. Da parte della Uilcom, stesso no, e anzi quasi per scaramanzia si ipotizza che simili richieste, l’azienda, non le voglia neppure fare: «Siamo consapevoli di dovere affrontare una trattativa non scontata per garantire i diritti – dice il segretario siciliano Giuseppe Tumminia – Ma di positivo c’è la decisione di Almaviva di abbandonare alcune “fantasiose” richieste come il passaggio di tutti i lavoratori a 4 ore o la deroga al contratto nazionale».

Intanto gli operatori non mollano e la mobilitazione di #IosonoAlmaviva, gruppo seguitissimo e molto attivo sui social, è confermata. Alice Violante, delegata Uilcom di Palermo, è tra le organizzatrici di un flash mob, domenica nel capoluogo siciliano: «Ci vediamo alle 17 davanti al teatro Politeama, speriamo di essere in tanti», dice. «Non possiamo accettare lo scambio tra il salario e il posto di lavoro – continua – Qui siamo già in solidarietà da tre anni, molti di noi sono part time, non abbiamo un integrativo». Quanto ancora si può tagliare, insomma? «Forse potremmo andare a lavorare gratis, tagliarci le ferie», dice ironicamente, e con amarezza, un altro operatore in cuffietta.

Ma le vertenze dei call center non finiscono qui. A Roma restano in bilico i 270 addetti allo 060606 del Comune: anche loro Almaviva, ma la commessa è già passata al gruppo Abramo. Idem per i circa 200 del Comune di Milano, la cui commessa è passata alla Visiant: «I due sindaci, Marino e Pisapia, non ci hanno dato risposte soddisfacenti», dice Azzola, della Slc Cgil.

Stesso problema per 400 addetti della People Care di Livorno, che hanno perso la commessa di Seat Pagine Gialle. Mentre la E-Care si è spinta oltre: «Da gennaio ha messo in cassa 400 persone a Milano, e nel frattempo ha vinto la commessa delle Poste che prima gestivano 300 addetti della Gepin di Casavatore – dice Azzola – Ma si rifiuta di passare i volumi di traffico delle Poste ai milanesi, e così ora sono in 700 a rischiare il posto».

Le aziende infatti oggi preferiscono assumere personale nuovo, con il contratto a tutele crescenti e i relativi incentivi. E i vecchi dipendenti vengono messi in cassa o in mobilità, con un doppio costo per la collettività.