Il ministero della Salute ieri ha ridimensionato l’allarme per le uova contaminate ma ha consigliato di comprare quelle prodotte nel nostro paese. «Ogni azienda in Italia è obbligata ad avere un sistema di controllo che monitorizza l’intera filiera: l’animale, il mangime, le medicine che prende, qualsiasi agente chimico venga utilizzato nell’allevamento. In particolare, vengono controllati gli elementi microbiologici, come i batteri, che sono potenzialmente più pericolosi dei contaminanti chimici. Quello che vale per l’Italia, vale per l’intera Unione europea, ma non sempre è così»: Agostino Macrì, docente universitario e responsabile per la sicurezza alimentare dell’Unione Nazionale Consumatori, spiega cosa potrebbe essere successo nel caso delle uova contaminate.

Macrì, come può essere finito l’insetticida nelle uova?

Le galline potrebbero aver contratto un parassita della pelle, probabilmente un’azienda ha fornito un agente chimico con cui l’allevatore ha irrorato l’allevamento, perché non è possibile somministrarlo capo per capo. Le galline sono onnivore e mangiano tutto quello che trovano, anche gli escrementi. Così, razzolando, avranno assunto materiale contenente il fibronil, finito poi nelle uova. Era già successo con un altro allevamento: alle pollastre era stato dato il nigabarzine prima che facessero le uova (perché dopo ne è vietata l’assunzione), ma tracce della sostanza erano finite nella produzione di uova anche a somministrazione cessata. Lo avevano assunto razzolando.

Il sistema di controlli olandese non avrebbe dovuto bloccare le uova?

L’allevatore non ha prestato attenzione a cosa conteneva l’insetticida e quindi non sono stati fatti subito i controlli necessari. Non è la prima volta che ci sono problemi con i Paesi Bassi. Nel 1999, in Belgio, un produttore di mangimi utilizzò l’olio industriale esausto come grasso da inserire nel cibo per i polli. Se ne accorsero tardi gli allevatori perché i pulcini morivano per la diossina. Probabilmente, nel caso dell’Olanda, chi ha preparato la miscela contro i parassiti ha inserito il fibronil e non ha avvisato chi l’ha acquistato a cosa andava incontro.

Se non scatta l’allerta gli altri paesi europei sono esposti?

Indubbiamente c’è una rete di controlli molto più severa per i paesi terzi, come ad esempio la Cina. Anche all’Italia è capitato di bloccare prodotti, come le olive pugliesi al botulino, pronte per l’export. All’interno dell’Unione europea siamo esposti fino a quando il paese dove nasce l’emergenza non comunica un alert: da quando il prodotto contaminato comincia il suo viaggio verso altri paesi fino all’allarme delle autorità interne, si apre una finestra in cui i prodotti girano indisturbati. Ma, una volta scoperto il problema, le autorità dei singoli stati sono in grado di tracciare l’intera filiera, anche dei prodotti derivati, e toglierli dagli scaffali. Certo, chi ha già acquistato e consumato i cibi prima che scattasse l’allarme non può tornare indietro.

Il ritiro dei prodotti copre tutta la rete distributiva?

Le autorità regionali e i Nas in linea teorica sono in grado di raggiungere anche i punti vendita più piccoli nei centri meno abitati. Questo vale, però, solo all’interno di una filiera legale in cui l’intero percorso è tracciato. Se il negoziante decide di approvvigionarsi con prodotti di contrabbando o contraffatti allora venderà merce che sfugge a questo tipo di controlli esponendo i consumatori a molti più rischi.