Le occasioni perse e i ritardi dell’agricoltura italiana sono emersi in tutta la loro evidenza in questi mesi di preparazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e definizione della Politica agricola comune (Pac ) per il periodo 2023-2027. Il modello di produzione e consumo che si è imposto in questi decenni, basato su agricoltura e allevamenti intensivi, pesticidi, fertilizzanti sintetici, sovvenzioni alle grandi aziende, ha impedito l’avvio della transizione ecologica che oggi viene invocata con drammatica urgenza.

In questi anni non sono mancate da parte degli organismi europei le dichiarazioni a sostegno delle produzioni sostenibili, ma in campo agricolo il concetto di sostenibilità viene adeguato agli interessi dell’agricoltura convenzionale.

La Politica agricola comune, istituita nel 1962, destina mediamente il 40% del bilancio Ue al settore agricolo, ma il 20% delle aziende assorbe l’80% delle risorse. Nel piano che è stato appena approvato, per il periodo 2003-2007, non è prevista una quota minima di risorse da destinare alle piccole aziende agricole, né sono state introdotte norme per favorire la rotazione delle colture. Non si va a incidere neanche sui sistemi di allevamento intensivi, per costruire intorno al benessere animale un nuovo percorso che consenta di salvaguardare salute e ambiente. La logica è sempre quella di salvaguardare l’agricoltura su larga scala. In Italia si riflettono gli interessi e le contraddizioni che emergono a livello europeo. Il cibo come riferimento per la sostenibilità è una concezione che fa fatica a farsi strada anche nel nostro paese. La legge sull’agricoltura biologica, dopo anni di attese e sollecitazioni, è stata approvata al Senato, ma è ferma alla Camera dei deputati per l’approvazione definitiva. Non è stato attuato a livello nazionale alcun piano per la promozione di distretti biologici (biodistretti), anche come strategia di recupero delle aree interne. Manca un piano nazionale per la conversione al biologico e solo all’ultimo momento, su pressione degli agricoltori e delle organizzazioni che tutelano le produzioni biologiche, il Fondo complementare al Pnrr ha destinato al settore bio 300 milioni di euro in cinque anni.

Nella prima stesura del piano l’agricoltura biologica era stata completamente trascurata. Né è mai decollato in Italia il Piano d’azione per un uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. L’agricoltura dovrebbe avere un ruolo centrale nel contrastare la crisi climatica, perché ha contribuito a determinarla, ma è anche vittima dei fenomeni legati al riscaldamento del pianeta. Ma quanto incidono in Italia le produzioni agricole e gli allevamenti nella produzione di gas serra?

L’Ispra, che ha il compito istituzionale di fornire le stime ufficiali sulle emissioni climalteranti ed inquinanti, indica una quota del 7,1%, prendendo in esame solo gli allevamenti e l’uso dei fertilizzanti azotati. Ma se si fa riferimento al settore agricolo nel suo insieme, includendo tutte le operazioni connesse all’attività agricola (produzione delle sostanze e dei materiali impiegati, uso di macchinari per le lavorazioni e mezzi di trasporto, consumi energetici e idrici, gestione dei rifiuti), il valore sale al 18%. Questo è anche il dato fornito dalla Fao. Sono gli allevamenti a contribuire in misura maggiore alla produzione di gas serra, il metano in particolare. Secondo un rapporto pubblicato dall’Unep, il programma ambientale delle Nazioni Unite, le emissioni di metano provenienti dagli allevamenti incidono per un terzo sulle emissioni totali, soprattutto legate alla digestione e fermentazione enterica dei bovini.

La transizione verso la neutralità climatica incontra grandi ostacoli anche in campo agricolo. L’uso di pratiche agricole sostenibili può essere attuato mettendo in discussione l’attuale modello di produzione e consumo e solo un’economia agricola bio può svolgere un ruolo importante nell’affrontare i cambiamenti climatici.

In Italia c’è un grave ritardo nell’elaborazione dei piani strategici per una riduzione entro il 2030 del 50% nell’uso di pesticidi, del 20% dei fertilizzanti sintetici e del 50% degli antibiotici negli allevamenti, come indicato dal Farm to Fork e Biodiversity 2030.