L’assalto alla sede della Cgil e lo spettro del fascismo, la rabbia sociale che trova sfogo nei cortei “no green pass”, l’astensionismo come (non)voto di maggioranza, la corsa ai click per sottoscrivere referendum, la condanna di Mimmo Lucano, l’invocazione della “pace sociale”: fenomeni diversi, che, ancora una volta, svelano la fragilità della democrazia e il suo svuotamento.

Primo: la democrazia costituzionale. La democrazia costituzionale si regge su delicati equilibri nei rapporti fra gli organi costituzionali, fra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, sul ruolo di garanzia della Corte costituzionale, sull’indipendenza e sulla tutela dei diritti da parte del potere giudiziario. Lo (s)-bilanciamento di un elemento si riflette sull’intero sistema, revocando in dubbio il suo obiettivo: la limitazione del potere e la garanzia dei diritti.

All’esautoramento e all’auto-marginalizzazione del Parlamento, alla verticalizzazione del potere, processi in corso da tempo, di cui la pandemia si rivela cartina di tornasole e fattore di accelerazione, si accompagnano altri segnali preoccupanti, fra i quali, una torsione degli strumenti penali (e non solo) in chiave di repressione e criminalizzazione della solidarietà e del dissenso da parte della magistratura (e una magistratura in crisi di legittimazione), e, da ultimo, il rischio che referendum facili creino un cortocircuito nei rapporti con un Parlamento già debole e gettino la Corte costituzionale in pasto a giochi politici che ne minano il ruolo.

Secondo: la politica. Le istituzioni democratiche non possono prescindere da forze che diano sostanza all’involucro. Partiti liquidi e avvitati in un moto centripeto e autoreferenziale, atomizzazione della società, negazione del conflitto sociale: la democrazia è vuota, o, meglio, occupata da un potere senza più legame con la società, incapace di rappresentare il pluralismo e i conflitti che la attraversano. È un meccanismo di gestione del potere che della democrazia mantiene solo la maschera. E fenomeni come i 500.000 “click” in pochi giorni sono solo l’ennesima denuncia dell’assenza della politica; la raccolta delle firme on line rischia di veicolare null’altro che grida frammentate e disperse: un’espressione episodica non una partecipazione consapevole. La via non è una democrazia digitale che si propone come immediata e che decolla sulla leggerezza del click, ma la costruzione di una partecipazione effettiva e solida: dal basso, nel «vivente movimento delle masse» (Luxemburg), così come nella costruzione di forze politiche organizzate capaci di esprimere una visione radicalmente alternativa, nella convergenza in un blocco storico delle lotte sociali, sul lavoro, per l’ambiente.

Terzo: l’abbandono della democrazia sociale. Scavando alle radici, dietro l’asfissia della democrazia politica, la degradazione della rappresentanza, dietro i rigurgiti fascisti e la loro strumentalizzazione della rabbia sociale, c’è l’abbandono di un progetto di società nel segno della giustizia sociale, e il tradimento della Costituzione; un abbandono frutto di rapporti di forza che segnano la vittoria di una classe e di una visione del mondo, il neoliberismo, con la colpevole acquiescenza di partiti che hanno rinunciato a perseguire una “società più giusta”.
Occorre recuperare la sostanza che dà linfa alla democrazia costituzionale: il suo essere necessariamente insieme politica, economica e sociale, il suo imprescindibile legame con il conflitto. La democrazia costituzionale è fragile perché non è riuscita a essere sociale, a limitare e controllare il potere economico, che si è insinuato e ha imposto una razionalità altra rispetto a un progetto di emancipazione personale e sociale, perché non persegue come fine e strumento una partecipazione effettiva e consapevole ma non risponde che ai poteri che la occupano.

E dal senso profondo della Repubblica fondata sul lavoro, sull’uguaglianza sostanziale e sulla partecipazione effettiva che occorre ripartire, mettendo al centro i lavoratori, e non l’impresa; ragionando di emancipazione e non di espulsione e ghettizzazione del disagio sociale. La camera del lavoro si presidia contro il fascismo, oltre che sciogliendo le organizzazioni che ad esso si richiamano, attuando il disegno costituzionale, tutto, non solo la XII disposizione transitoria e finale, rispondendo alla rabbia sociale con i diritti sociali, sostituendo all’immagine di una “pace sociale” imposta e unilaterale il riconoscimento dei conflitti e la tutela dei diritti.