In Razzismi contemporanei. Le prospettive della sociologia (Carocci, pp. 232, euro 22,80) Annalisa Frisina indaga su cosa significhi il razzismo, come si diffonda e come permanga, seppure mutando, nel corso del tempo.
L’autrice, docente di Sociologia all’università di Padova, propone un viaggio sul tema dalle origini della ricerca sociologica, incontrandone, fin dall’inizio, i pionieri – Max Weber, Robert Park, W. E. B. Du Bois, Anna Julia Cooper, Theodor Adorno e Max Horkheimer – per poi immergersi nella riflessione contemporanea. E qui si incrociano i processi di razzializzazione, il Cccs (il Centro sugli studi culturali) di Birmingham con Stuart Hall, le prospettive femministe e intersezionali, gli approcci post-coloniali e de-coloniali e, infine, gli studi sulla «bianchezza».
Un’immersione profonda e di lunga portata storica, dunque, apre al terzo capitolo del libro, quello in cui si va sul campo, si entra nelle questioni del razzismo quotidiano, praticato, vissuto, combattuto. «La riproduzione (e la contestazione) delle gerarchie razziali» si intitola questa parte del testo: presenta cosa accade nella scuola, nella dimensione spaziale, con riferimento alla violenza, nei e con i media, nell’ambito del lavoro. L’ultima sezione del volume, «Studiare i razzismi, trasformare lo sguardo» sviluppa invece la tematica metodologica, interrogando i diversi modi di osservare.

IL LIBRO SI RIVELA uno strumento utile per avere un inquadramento complessivo e, insieme, approfondito, del razzismo e delle sue molteplici manifestazioni. Ma lo è anche per comprendere le resistenze a esso, le lotte individuali e collettive, presenti e del passato, che attraversano i processi di razzializzazione, cioè di produzione di soggetti inferiori.
Un’urgenza è, infatti, quella «di prendere maggiormente in considerazione i punti di vista delle persone che subiscono il dominio razziale», spiega l’autrice, riconoscendone le lotte e le forme di mobilitazione sociale e politica orientate a mettere in discussione i rapporti di potere vigenti fondati anche sulla razza.

PARLARE di razzismo ha dunque senso, anche se la ricerca dei genetisti ha chiarito, ormai da tempo, che le razze umane non esistono. Studiare il dispositivo di razzializzazione è però ancora necessario dal momento che permette di riconoscere e criticare pratiche di dominio. Le stesse che sembrano passate ma che si riattualizzano continuamente e funzionano concretamente nel presente: pratiche che incidono «sia nelle vite degli attori sociali considerati ’bianchi’ (quelli che immaginano di essere la norma neutrale, hanno il potere di classificare in modo gerarchico gli ’altri’) sia nelle vite degli attori sociali ’razzializzati’ / ’non-bianchi’ (coloro che vengono discriminati in quanto considerati meno umani / non-umani)».

LA RAZZIALIZZAZIONE, la costruzione di intere popolazioni umane come inferiori in quanto portatrici di specifiche caratteristiche, costruisce e tende a confermare gerarchie di potere sociale, economico e politico. Si tratta di un processo che condiziona in negativo, anche profondamente, l’esistenza degli individui e comunità che ne sono oggetto, mentre favorisce in positivo la vita di chi ne è libero, perché può beneficiare dei privilegi dell’ingiustizia razziale.

IN ALTRE PAROLE, oltre agli approfondimenti sociologici strettamente intesi, Annalisa Frisina propone un ripensamento teorico e pratico soprattutto ai bianchi – e ai maschi bianchi in special modo -, titolari di un privilegio da spodestare se si vogliono sostenere le ragioni dell’antirazzismo. Anche perché sono sempre loro a poter definire quali sarebbero le giuste forme e finalità delle lotte dei soggetti storicamente razzializzati: un altro monopolio da perdere, ponendosi silenziosamente in ascolto della «soggettività politica, spesso scomoda, dei ’non-bianchi’».
Il libro di Frisina è prezioso proprio in una società come quella italiana, che non si è confrontata mai in maniera strutturata con le leggi razziali e la generale impostazione razzista del fascismo né con il passato, e l’eredità attiva nel presente, del suo colonialismo, violento e patriarcale.