Seriamente a rischio il processo di pace in Colombia. L’allarme arriva dall’Avana, dove sono in corso le trattative tra il governo colombiano di Manuel Santos e la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc): l’esercito colombiano – hanno denunciato i mediatori – viola la tregua unilaterale indefinita, dichiarata dalle Farc. Le truppe continuano a pattugliare le zone di guerra, moltiplicando il rischio di scontri e un nuovo arresto del dialogo.

Nonostante gli accordi iniziali, che svincolano l’evoluzione delle trattative dal conflitto sul territorio colombiano, Santos ha interrotto il dialogo dopo la cattura del generale Dario Alzate, addentratosi in modo «anomalo» nelle zone di guerra. Le Farc lo hanno poi liberato senza condizioni e hanno chiesto a Santos di dichiarare a sua volta un cessate il fuoco, sostenute in questo dai movimenti popolari e dalla sinistra colombiana. Come ulteriore prova di disponibilità, la vigilia di Natale la guerriglia ha liberato il soldato Carlos Becerra Ojeda. Il giorno dopo, però, il Sesto fronte delle Farc ha denunciato che un reparto di 20 soldati è rimasto a pattugliare la zona di Antioquia e che, a partire dalla dichiarazione di cessate il fuoco, annunciato il 17 dicembre e messo in atto il 20, gli elicotteri hanno ripreso ad alzarsi in volo nelle zone controllate dalla guerriglia e i movimenti di truppe sono aumentati.

Le Farc hanno perciò fatto appello ai movimenti e alle organizzazioni internazionali che sostengono il processo di pace e che hanno ripetutamente chiesto a Santos di dichiarare a propria volta un cessate il fuoco governativo. Il governo colombiano ha però finora sempre rifiutato. Il 24 dicembre, mentre nuovi comandanti guerriglieri raggiungevano l’Avana per partecipare al dialogo, le Farc hanno scritto anche a ufficiali e sottufficiali delle Forze armate e della Polizia esortandoli a scegliere il superamento del conflitto, a passare dall’opzione armata a quella del dialogo.
Ma intanto, l’estrema destra colombiana rappresentata dall’ex presidente Alvaro Uribe, feroce avversario del processo di pace, sta muovendo tutti i suoi tasselli per far fallire le trattative dell’Avana. Recentemente, ha organizzato una grande marcia «contro l’impunità» e preme sulle Forze armate e sul governo per il ritorno alla linea dura.
Due anni di trattative, facilitate dalla Norvegia e dal Venezuela e sostenute dalle forze progressiste, dentro e fuori il paese, hanno però aperto una speranza a cui vogliono credere in molti. Per questo, movimenti popolari e sinistra colombiana hanno votato nuovamente per Santos nonostante il segno neoliberista del suo governo e ora gli chiedono di essere conseguente. Santos ha finora fatto molti annunci, ma senza mai dismettere l’opzione repressiva.

L’anno in corso sottoporrà a verifica la reale portata degli accordi raggiunti sui principali punti dell’agenda di dialogo: dalla questione agraria, alle droghe illecite, all’ascolto delle vittime del cinquantennale conflitto. I movimenti e la sinistra tenteranno di aprire qualche spazio di agibilità politica nel sistema politico colombiano e nella sua democrazia malata, fortemente marcata dall’eliminazione del dissenso e dal paramilitarismo. Alcuni, come Marcia patriottica, hanno già deciso di presentare propri candidati alle amministrative e già per la rielezione di Santos si è creata una nuova aggregazione politica delle forze di sinistra, un Fronte ampio che ha messo al primo punto la questione del ritorno alla vita politica e in sicurezza delle forze alternative e della guerriglia.

A metà dicembre, l’Onu ha ricevuto a Ginevra un’ampia rappresentanza della Costituente degli esiliati colombiani, che ha presentato un rapporto sulle violazioni subite da parte dello stato colombian. A presentare il rapporto è stato Pedro Osorio, del Partito comunista colombiano. Con lui, sopravvissuti dell’Union Patriotica, che hanno versato un grande tributo di sangue al rientro nella vita politica dopo un precedente accordo di pace, oltre vent’anni fa.